In questa storiaccia, che annuncia uno scandalo gigantesco, di corruzione gozzovigliante - soldi nei borsoni che evocano la mazzetta gettata da Mario Chiesa nel water, padri in fuga col malloppo, mogli e figlie che prenotano vacanze faraoniche - peggio del denaro c'è solo la reazione balbettante della sinistra. Ed è proprio questa reazione, che col garantismo non c'entra nulla, a configurare il caso come un elemento di strutturale collasso politico e morale. Non il mariuolo o la classica mela marcia in un corpo sano. Soumahoro e Panzeri, mutatis mutandis, ognuno con le sue signore, sono due volti dello stesso cinico modello: la disinvoltura, propria o familiare, agita dietro e grazie all'immagine pubblica di difesa dei diritti umani. Circostanza tale da rendere ancora più intollerabili quei comportamenti. A meno che il cronista non sia così limitato da non comprendere che non di cedimento morale si tratta, ma di diabolica e raffinata strategia posta in essere da chi, impegnato a criticare il capitalismo, quando si discute il Manifesto dei valori, adesso tace, da Articolo 1 al Pd: chissà, magari sembra corruzione ma è un modo per dissanguare i ricchi della terra, versione aggiornata al terzo millennio dell'esproprio proletario di cui Bruxelles è l'avamposto più avanzato. Scherzi a parte, in questo assurdo dei principi, c'è chi arriva a consumare il reato senza neanche l'alibi ipocrita del "rubare per il partito", ma l'assenza di una messa a tema della questione morale, da parte dei vertici della sinistra, rivela un meccanismo omertoso generalizzato. Le cui radici sono nel fatto che "può capitare" a tutti, di ritrovarsi tra colleghi o famiglie altri Soumahoro o Panzeri, in un partito schiacciato sul governismo affaristico o dove il tesseramento è affidato ai capibastone. E dunque, in un clima di appartenenza allo stesso consorzio politico-morale, nessuno ha la forza di difendere i valori, parola ridotta solo a chiacchiera nell'ammuina congressuale sui Manifesti. Accadde lo stesso con Nicola Oddati, responsabile delle Agorà di Enrico Letta, beccato a gennaio a Termini con 14mila euro in tasca, controllo non casuale perché da tempo la procura stava indagando per un presunto giro di favori con imprenditori: si dimise e finì lì. Come finì con la relazione Barca lo sforzo di rinnovamento del marcio partito romano, dopo Mafia Capitale. In questo quadro si spiega la reazione della destra, tutto sommato misurata. Da un lato, da questa vicenda incassa il terreno ideale per una campagna contro le Ong; dall'altra preferisce (a sinistra) un gruppo dirigente condizionabile a una "piazza pulita" da cui nasca qualcosa di nuovo e insidioso. E non a caso il governo incontra D'Alema, gran consigliere di Conte e della sinistra Pd, nei panni di consulente di un gruppo di investitori qatarini pronti a competere per rilevare la raffineria di Lukoil a Priolo. La destra sa che questi dirigenti sono la sua polizza a vita.
Alessandro De Angelis, La Stampa (12/12/2022)
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