In tutti i Paesi europei la lunga recessione e i crescenti flussi migratori hanno causato insicurezza e paure. Gli elettori tendono a guardare al «qui ed ora». Si chiedono: potrò ancora contare sul reddito di cui dispongo oggi? Riuscirò a mantenere il posto di lavoro (ammesso che non lo si sia ancora perso)? Cosa accadrà ai miei figli? Per un elettore medio non è facile rispondere a simili domande. Mancano le informazioni, le competenze, il tempo per riflettere. (...) Tale contesto ha favorito l’ascesa del cosiddetto populismo: un modo di fare politica contraddistinto da due caratteristiche. Innanzitutto una ricerca del consenso basata sulla contrapposizione fra «la gente» (i cittadini di Di Maio; gli italiani di Salvini) e le vecchie élite (i tecnocratici di Bruxelles, «loro», ossia i governi di prima), additate come responsabili di ogni problema. In secondo luogo, un modo di governare basato su iperboliche promesse, seguite da pasticciate realizzazioni (pensiamo a quota cento, ai famosi «rimpatri», al reddito di cittadinanza) e soprattutto da una impressionante irresponsabilità finanziaria. Spendere di più anche se i soldi non ci sono. Tassare di meno, senza ridurre alcun servizio o prestazione. Dicendo che tutto andrà per il meglio. I partiti populisti — di destra e di sinistra — sono comparsi e cresciuti in tutta Europa. Ma solo in Italia sono diventati maggioranza e hanno conquistato il governo. Fra le varie cause, ce n’è una che merita una particolare riflessione. Rispetto ai Paesi con cui ci confrontiamo, l’Italia ha livelli di istruzione più bassi, più lavoro autonomo tradizionale, più famiglie monoreddito (molte con capofamiglia operaio) e di conseguenza molte più casalinghe. Questi elementi hanno creato le condizioni per una tempesta perfetta: la maggiore vulnerabilità sociale ha generato più paura e insieme più sensibilità a messaggi politici «forti» e rassicuranti, anche se irresponsabili. Gli italiani adulti che non hanno potuto completare gli studi al di là della licenza media o della maturità sono oggi il 40% (dati Eurostat): più del doppio di Francia e Germania, ove la grande maggioranza di elettori ha un diploma post-secondario. Anche la quota di lavoratori autonomi (il 21%, soprattutto commercianti, artigiani e in misura crescente partite Iva) è pari a due volte quella francese e tedesca. Le famiglie con un solo percettore di reddito sono il 40%: una quota davvero anomala in Europa (in Francia e Germania la percentuale è attorno al 25%; la media dell’Unione europea a 15 Paesi, è al 27%).
Maurizio Ferrara, Corriere della Sera (20/6/2019)
Maurizio Ferrara, Corriere della Sera (20/6/2019)
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