Oltre
tutti i calcoli diplomatici, oltre le valutazioni strategiche, gli esperimenti
nucleari, i lanci dimostrativi di missili, che ora anche la Corea del Sud spara
per non mostrarsi intimidita, c’è un’incognita che nessuno può valutare
all’orizzonte di una possibile guerra guerreggiata: è il “Fattore T”. Sono i
sentimenti, le emozioni che il presidente Donald Trump deve provare di fronte
al comportamento di Kim Jong-un che ormai apertamente si fa beffe di lui e lo
ridicolizza.
Per quanto tempo uno uomo come “The Donald” che misura il mondo e le persone attorno a lui con il metro della propria vanità e della sconfinata autostima può continuare ad accettare che un dittatorello del Terzo Mondo puntellato e armato da complici vicini e lontani lo sfotta pubblicamente, ignorando minacce, sfuriate e crisi di tweet? (…) Kim Jong-un punta tutto sulla impotenza americana, sulla impossibilità di lanciare un’azione militare preventiva convinto di poter continuare a ridere di Trump senza pagare pegno, altro che qualche escalation verbale e qualche raffica di innocui tweet. Ma ad ogni missile che parte, a ogni bomba che esplode nel sottosuolo coreano, un altro pezzo dell’intonaco si stacca dal muro della narrazione trumpista, dal mito della sua implacabile durezza. Fino a quano potrà accettarlo, il Presidente americano, prima che Kim riesca a dimostrare definitivamente che nulla potrà essere fatto per fermarlo? Per lui, per Kim, questo è “business”, come si dice nel gergo della Cosa Nostra americana. Per Trump sta diventando “personale”. Non è più l’America a essere irrisa dalla Nord Corea. È lui.
Vittorio Zucconi, da repubblica.it (15/9/2017)
Per quanto tempo uno uomo come “The Donald” che misura il mondo e le persone attorno a lui con il metro della propria vanità e della sconfinata autostima può continuare ad accettare che un dittatorello del Terzo Mondo puntellato e armato da complici vicini e lontani lo sfotta pubblicamente, ignorando minacce, sfuriate e crisi di tweet? (…) Kim Jong-un punta tutto sulla impotenza americana, sulla impossibilità di lanciare un’azione militare preventiva convinto di poter continuare a ridere di Trump senza pagare pegno, altro che qualche escalation verbale e qualche raffica di innocui tweet. Ma ad ogni missile che parte, a ogni bomba che esplode nel sottosuolo coreano, un altro pezzo dell’intonaco si stacca dal muro della narrazione trumpista, dal mito della sua implacabile durezza. Fino a quano potrà accettarlo, il Presidente americano, prima che Kim riesca a dimostrare definitivamente che nulla potrà essere fatto per fermarlo? Per lui, per Kim, questo è “business”, come si dice nel gergo della Cosa Nostra americana. Per Trump sta diventando “personale”. Non è più l’America a essere irrisa dalla Nord Corea. È lui.
Vittorio Zucconi, da repubblica.it (15/9/2017)
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