Erano i sex symbol dell’alta quota,
rischiano di diventare le sguattere dello scalo. La parabola delle hostess
Alitalia (invitate dalla compagnia di bandiera, in sede di rinnovo di
contratto, ad occuparsi della pulizia delle toilette sui velivoli) non è solo
la parabola della maggior parte delle donne, è la parabola di un intero Paese.
E poco importa che ieri siano saltate le trattative sindacali di Alitalia.
Tanto da certe cose non si torna più indietro. Un tempo scelte (anche) secondo
rigorosi canoni estetici (specie se destinate alla prima classe), portatrici
pensanti di sorrisi imperturbabili, aplomb, gesti ampi ma precisissimi, le
assistenti di volo sono state l’immaginario erotico di intere, privilegiate,
generazioni. Magre, sinuose e cortesissime profumavano di aria condizionata, di
divise inamidate, di vassoi con le aragoste, di champagne ghiacciato e di
cuscini croccanti. Erano la differenza tra le nuvole e il paradiso. Le hostess
erano già il viaggio. Iniziava con uno schienale reclinato e una coperta
soffice rimboccata ad arte. Appena individuato il proprio posto a sedere si
iniziava già a sognare le spiagge caraibiche del lusso, qualunque fosse la
destinazione finale. Tutto grazie a loro. Eteree giunchiglie dall’umore
inspiegabilmente, perennemente stabile. Le hostess... Con quel loro indicare,
quel loro porgere, quel loro allacciare. Calze di seta, denti bianchi e
fondotinta. Dritte sui tacchi anche in piena perturbazione. Subito dopo le
modelle, c’erano le hostess. Forse pure prima, a ben vedere. Alte e altere, ben
lontane dal ceto impiegatizio, in pole position per conoscere un «buon partito»
e sposarsi bene. Corteggiatissime per aria e a terra. Emancipate, indipendenti,
gratificate. Andavano a prendersi fette di mondo quando per la maggior parte delle
donne era un problema uscire di casa la sera. Aeroporti, piloti, duty free,
mete esotiche e lingue straniere. E via, su quelle gambe lunghe da capogiro,
disegnate dentro alle divise su misura. Adesso questa vanitosa e frustrata
burocrazia si vendica: meno ore di permesso ogni mese e pulizia dei gabinetti
inclusa nel contratto. Trascinate «a terra» controvoglia. Giù dalla schiuma
delle nuvole, a remare nella stiva di un galeone lento e pesante: giù a
riordinare i gabinetti alla fine di ogni viaggio. Senza alcuna pietà per le
belle. Una hostess con lo straccio e i guanti di gomma è un dispetto prima per
noi che per lei. È la fine del nostro sognare e quindi del nostro viaggiare.
Anche se sugli aerei ci saliremo lo stesso. Volo low cost, vassoio low cost,
hostess low cost. E sogno low cost. Perché tocca sognare al passo con i tempi:
acrilico, noccioline e sedili stretti. Si vola a
«virgola-novantanove-centesimi» e si arriva da qualche parte, non importa come,
non importa guardando chi. Nuvole senza più paradiso. C’era una volta la
hostess. Oggi il viaggio, comincia quando si arriva.
Valeria Braghieri, Il Giornale (9/2/2017)
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