nuovigiorni

"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

domenica 29 giugno 2025

Il peso del caso

Professor Sunstein, partiamo dai Beatles: perché le loro canzoni non bastano a spiegarne la fama planetaria? 

«Al di là della loro creatività indiscussa, i Beatles ebbero diversi colpi di fortuna. Ad esempio accettare come loro manager il vulcanico Brian Epstein, proprietario di un negozio di dischi senza esperienza nell’industria musicale ma cocciuto e geniale, che si offrì a loro dopo averli sentiti in un famoso club a Liverpool; e poi l’incontro fatidico di Epstein con George Martin, che sarà il loro produttore e pubblicherà – quando nessun’altra casa discografica tampinata da Epstein mostrava interesse per la band – il primo singolo Love me do. All’inizio nessuno prendeva sul serio i Beatles, anche per il buffo nome del gruppo. Epstein mise in atto tutta una serie di strategie promozionali più o meno ortodosse: c’è chi dice che acquistò lui stesso 10 mila copie del disco per farlo entrare in classifica. Riuscì a farli esibire in una trasmissione che andò in onda durante quella che in Inghilterra fu la nevicata più intensa del secolo, con quasi tutta la popolazione chiusa in casa davanti alla tv…».

Insomma tendiamo a sottovalutare il peso del caso?

«Un esempio eclatante è quello di Muhammad Alì: da ragazzo gli rubarono la bicicletta, e un poliziotto a cui parlò del furto – dicendogli di voler dare una lezioncina al ladro – gli rispose: «Se proprio vuoi farlo, prima prendi qualche lezione di boxe». Il resto è Storia. Solo pochi, tra i grandi, si rendono conto del peso delle circostanze. Il Presidente Obama un giorno mi disse: “I Ceo pensano che io li odi. Non è così: è solo che so che, per quanto straordinari, sono stati fortunati. È anche il mio caso: spero di fare un buon lavoro, ma ho avuto un sacco di fortuna”. Era conscio di essersi candidato in un momento in cui l’America voleva un presidente nero».

Da un’intervista di Giuliano Aluffi a Cass R. Sunstein, autore del saggio “Come diventare famosi” (il Venerdì di Repubblica – 20/6/2025)

Canzone del giorno: Let It Happen (2005) - Gracie Abrams
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venerdì 27 giugno 2025

Viaggio per viaggiare

“Io viaggio non per andare da qualche parte, ma per andare. Viaggio per viaggiare. La gran cosa è muoversi, sentire più acutamente il prurito della nostra vita, scendere da questo letto di piume della civiltà e sentirsi sotto i piedi il granito del globo”. 

Robert Louis Stevenson (1850 – 1894)


Canzone del giorno: Travelling (1971) - John Mayall
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mercoledì 25 giugno 2025

Coreografia della guerra

Anche tra gli avversari più feroci può esserci una coreografia della guerra. Non si tratta ovviamente di una questione puramente estetica, ma di regole d’ingaggio, del segnale politico che si invia all’altro. È quello che è successo quando l’Iran ha fatto sapere in anticipo al Qatar, e quindi agli Stati Uniti, che la loro gigantesca base di Al Udeid, vicino Doha, sarebbe stata presa di mira da lanci di missili. Lo scopo non era distruggere la base o uccidere chi c’era: qualche missile su una delle strutture protette meglio non basterebbe. L’obiettivo era proprio inviare un messaggio politico, quello che Teheran non cercava l’escalation con Washington. Il regime iraniano non poteva lasciare senza risposta il bombardamento senza precedenti dei suoi siti nucleari compiuto dagli aerei statunitensi, una vera e propria umiliazione, ma sa anche che non è in grado di affrontare una guerra aperta con gli Stati Uniti. Accetta di fatto la sua sconfitta, ma assicura la sua sopravvivenza. Trump ha incassato volentieri il messaggio e, in un ribaltamento di quelli che solo lui sa fare, ne ha subito tratto le conseguenze, decretando la fine di questa guerra di dodici giorni. Cogliendo tutti di sorpresa: tanto i suoi collaboratori quanto Israele, che voleva continuare. Gli conviene politicamente: Trump si era preoccupato di presentare il bombardamento del 22 giugno come un atto unico, non l’inizio di una guerra. Una parte dei suoi elettori è già destabilizzata da questa operazione militare, e il presidente rischiava di perderla entrando in un’escalation contraria ai suoi impegni pacificatori. Ci sarebbe stato un altro scenario se ci fossero state vittime statunitensi nei lanci di missili iraniani. C’è un precedente: nel 2019, durante il primo mandato di Trump, l’Iran aveva abbattuto un drone statunitense da 130 milioni di dollari. Una rappresaglia contro le basi iraniane era stata prevista, ma Trump l’aveva fermata. Spiegando che sul drone non c’erano piloti, dunque non c’erano state vittime, mentre le ritorsioni avrebbero causato decine di morti. La stessa logica gli permette oggi di uscire rafforzato da questa vicenda. Trump potrà vantarsi all’infinito di aver usato la forza più grande possibile contro l’Iran, contrariamente ai suoi predecessori, e di essersi mostrato giusto e magnanimo al termine dello scontro. Il vantaggio politico è evidente. Nel frattempo toglie il terreno sotto i piedi a Benjamin Netanyahu. Il primo ministro israeliano non era della stessa idea. Ieri ha intensificato i bombardamenti e ha perfino ampliato i suoi obiettivi, puntando a quelli che persegue dall’inizio: la distruzione del nucleare o il cambiamento di regime? Non c’è dubbio che Israele preferirebbe andare fino in fondo, anche se dovrà accontentarsi di aver fatto arretrare, ma probabilmente non totalmente distrutto, il programma nucleare iraniano. Significa chiaramente che ormai è Trump a decidere della pace e della guerra nel mondo. Non è certo una buona notizia per l’ordine internazionale, anche se oggi non ci si può che rallegrare se questo conflitto si ferma.

Pierre Haski, emittente radiofonica francese France Inter (24/06/2025) - da Internazionale.it

Canzone del giorno: Catapult (1996) - Counting Crows
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lunedì 23 giugno 2025

La scelta dell'azzardo

Lo strappo di Donald Trump con l’attacco all’Iran spiazza la sua America, crea sconcerto nel mondo intero ma anche nella galassia MAGA (Make America Great Again). Non era del tutto inatteso, certo, alla luce dell’ultima escalation verbale, però resta un gesto dirompente. Questo era un presidente percepito da molti dei suoi elettori come un isolazionista – in senso positivo: un leader che avrebbe evitato di impantanare il suo paese in conflitti internazionali, mettendo a rischio le vite dei propri soldati, sprecando risorse economiche in avventure da gendarme globale. Invece ha osato fare ciò che nessuno dei suoi predecessori aveva fatto: un bombardamento diretto e su vasta scala contro diversi obiettivi sul suolo iraniano. Ora la Casa Bianca e il Pentagono si affrettano a circoscrivere la portata dell’operazione: non si tratta di un’entrata in guerra, solo la distruzione mirata e precisa di siti nucleari. Non è detto che l’avversario bersagliato la pensi così, e accetti di comportarsi di conseguenza. Inoltre una prima valutazione dei vertici militari Usa parla di danni ai siti nucleari ma non dà per certa la loro distruzione totale. In cerca di precedenti storici americani, limitatamente all’Iran se ne possono ricordare un paio. 45 anni fa, nell’aprile 1980 il presidente Jimmy Carter ordinò un raid militare sul territorio iraniano per liberare 52 americani tenuti in ostaggio nell’ambasciata Usa di Teheran: quella missione finì in un disastro umiliante, diede un colpo fatale alla credibilità di Carter che perse le elezioni; la liberazione degli ostaggi dopo 444 giorni di prigionia avvenne dopo la vittoria del repubblicano Ronald Reagan. L’opinione pubblica americana rimase traumatizzata a lungo dalla memoria di quel disastroso raid – con le immagini di una tragica collisione tra elicotteri Usa nel deserto – e ogni intervento militare in Iran sembrò «off limits». […] In quanto a vere e proprie guerre, in Medio Oriente i precedenti Usa sono quelli di George Bush padre in Iraq nel 1990-91, cioè la prima guerra del Golfo, operazione Desert Storm. L’invasione dell’Afghanistan (7 ottobre 2001 – 30 agosto 2021). Quella dell’Iraq all’inizio del 2003. Ambedue sotto George Bush figlio. Infine la guerra di Barack Obama in Libia che depose Gheddafi nel 2011. La prima guerra del Golfo però ebbe una legittimazione internazionale notevole, fu condotta da una coalizione che includeva tante nazioni arabe, anche perché reagiva all’aggressione e all’annessione del Kuwait da parte di Saddam Hussein. Il secondo intervento militare in Iraq e a maggior ragione l’Afghanistan ebbero inizialmente la legittimazione dell’11 settembre 2001, anche se le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein si rivelarono una montatura americana. In Libia, Obama commise un errore madornale dalle conseguenze catastrofiche, però riuscì a farsi avallare l’intervento dall’Onu. Questo breve riepilogo serve a ricordare una cosa: Trump ha sempre condannato le guerre mediorientali dei suoi predecessori. La fortuna politica di questo presidente, la sua scalata al partito repubblicano nel 2015, si accompagnò ad un assalto ideologico contro il pensiero neoconservatore che aveva ispirato la politica «imperiale» in Medio Oriente, l’illusione di rovesciare regimi, esportare democrazia, imporre l’egemonia Usa in quella parte del mondo. Trump si costruì la sua reputazione di isolazionista proprio denunciando la velleitarietà di chi aveva preteso di svolgere il ruolo di gendarme mondiale. […] Che cosa lo ha convinto a fare questo strappo? Il ruolo di Benjamin Netanyahu deve essere stato decisivo. Avendo eliminato o decapitato o fortemente indebolito gli alleati dell’Iran – Hamas, Hezbollah, Assad – le forze armate israeliane hanno ridotto i rischi che un colpo all’Iran si traduca in una immediata deflagrazione di conflitti in tutto il Medio Oriente. Trump ha visto balenare un’opportunità: risolvere la minaccia iraniana – una spina nel fianco che ha perseguitato tutti i presidenti americani da Carter in poi, 46 anni senza che nessuno trovasse una soluzione – incassando un successo storico senza correre rischi molto elevati. Nel suo intervento televisivo di sabato sera Trump ha sottolineato la micidiale efficacia delle armi americane: e questo è un messaggio al mondo intero, comprese Russia e Cina. Per ora lui sembra convinto di poter «vendere» agli americani il bombardamento dei siti nucleari come un blitz una tantum, un colpo formidabile che blocca l’Iran, rende più sicuri gli alleati dell’America, ripristina la massima credibilità del deterrente Usa urbi et orbi, ma gli lascia le mani libere per il futuro e non lo costringe a entrare nella logica dell’escalation. È una scommessa azzardata, come molte delle mosse di questo presidente.

Federico Rampini, Corriere della Sera (22/6/2025)

Canzone del giorno: The Gambler (1978) - Kenny Rogers
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sabato 21 giugno 2025

Ostilità


MELII: E come può derivare dell’utile a noi dall’essere vostri schiavi, come a voi dal comandarci?

ATENIESI: Perché a voi toccherebbe obbedire invece di subire la sorte più atroce, mentre noi se non vi distruggessimo ci guadagneremmo.

MELII: E che noi restando in pace fossimo amici invece che nemici, ma alleati di nessuna delle due parti, non l’accettereste?

ATENIESI: No, perché la vostra ostilità non ci danneggia tanto quanto la vostra amicizia, manifesto esempio per i sudditi della nostra debolezza, mentre l’odio lo è della nostra potenza.

Tucidide (460 a.C. – 396 a.C.), La guerra del Peloponneso – da Dialogo degli ateniesi e dei melii sulla giustizia in guerra.


Canzone del giorno: Aria (2022) - Giovanni Sollima e Carlotta Maestrini
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mercoledì 18 giugno 2025

Piano inclinato

Il periodo storico successivo alle tragedie della prima parte del XX secolo ci aveva fatto credere che l’umanità si fosse finalmente emancipata dalla necessità di ricercare nel volto dell’altro un nemico da combattere. Che il pluralismo fosse ormai un fatto acquisito. Che chi è diverso – per cultura, genere, lingua, religione, posizione sociale, visione del mondo – potesse essere parte, a pieno titolo, della vita comune. I fatti di questi ultimi anni e giorni (dopo l’Ucraina e Gaza, l’escalation Israele-Iran, quello che sta accadendo in California e in Irlanda) ci costringono a prendere atto che le cose sono più complicate. Non stiamo andando verso un mondo più capace di inclusione, comprensione e coesistenza. Al contrario, si assiste a un lento arretramento del riconoscimento dell’altro. L’alterità, lungi dall’essere accolta, viene sempre più percepita come una minaccia. [...] Viviamo in un paradigma culturale che ci induce a difendere a ogni costo la nostra/mia zolla di benessere, potere o identità. Ogni cambiamento, ogni segnale di trasformazione, ogni imprevisto viene percepito come una minaccia. Al punto che si vanno perdendo persino le competenze necessarie per gestire la relazione complessa con l’altro concreto. Stiamo scivolando lungo un piano inclinato, con un esito incerto. Tuttavia, non è troppo tardi per invertire la rotta, a condizione di prendere coscienza della situazione prima che peggiori ulteriormente, prima che la diffidenza e l’autoassoluzione rendano irreversibile il nostro isolamento. Uscire da questa deriva richiede di riconoscere che l’altro non rappresenta un ostacolo al nostro benessere, ma una condizione imprescindibile della nostra umanità. [...] È pertanto necessario impegnarsi attivamente per promuovere una nuova cultura della coesistenza. Non si tratta di una semplice tolleranza, che preserva lo status quo mantenendo le distanze, bensì di un’ospitalità reciproca, capace di generare legami, progetti condivisi e nuove narrazioni. Questo principio si applica tanto alle comunità locali quanto alle istituzioni globali, alle famiglie, alle scuole, alle imprese, alla politica e alle religioni. In una società in cui l’alterità diventa un problema, la cura inizia con il disarmo delle pretese assolute.  È fondamentale riconoscere che il mondo non ci appartiene, ma ci è stato affidato in comune, che la nostra identità è intrinsecamente relazionale e che la libertà non consiste nel fare ciò che si vuole, ma nel saper condividere spazi, tempi, risorse e aspirazioni con gli altri.In definitiva, si tratta di scegliere che tipo di mondo vogliamo abitare: se rimanere intrappolati nella logica della zolla, ciascuno arroccato nel proprio recinto, facendo piazza pulita di tutto ciò che è fuori dai suoi schemi o se siamo disposti a costruire una nuova ecologia relazionale. Solo riconoscendo il volto dell’altro possiamo ritrovare anche il nostro.

Mauro Magatti, Avvenire (15/6/2025)

Canzone del giorno: Giudizi Universali (1997) - Samuele Bersani
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domenica 15 giugno 2025

Azioni criminali

No, non possiamo far finta di niente, tacere o addirittura plaudire come fanno taluni da destra, alle azioni criminali di Netanyau e di Israele. Nel silenzio vergognoso dell’Occidente, massacrano da quasi due anni e affamano popolazioni inermi, e distruggono case, famiglie e ospedali; attaccano e bombardano quasi tutti i paesi vicini, godendo di assoluta impunità, e attaccano da tempo l’Iran, lo accusano di ogni nefandezza mentre l’Iran sta fermo; uccidono capi politici, religiosi e militari, scienziati e chi capita, in azioni di “guerra preventiva”, un’aberrazione che i tg passano come se fosse normale e perfino legale. Noi possiamo avere l’atomica voi no. Accusano l’Iran di minacce, ma finora gli attentati, le uccisioni di capi e i bombardamenti sono di marca israeliana; e quanto al terrorismo islamico ha matrice sunnita e araba più che sciita e iraniana. Gli stati arabi tacciono e forse tifano contro l’Iran; ma sono gli stessi che sostengono i terroristi, al loro interno sono più intolleranti e islamisti dell’Iran ma sono soci in affari con l’Occidente. Qui non si tratta di destra e sinistra, di antisemitismo o antisionismo, e tantomeno si tratta di discettare davanti a migliaia di morti e mutilati, spesso bambini, se possiamo considerarlo genocidio oppure no. Qui siamo davanti a crimini di guerra, terrorismo di stato e rappresaglie cento volte più efferate dei crimini subiti. Ciò non toglie che Hamas sia un’organizzazione terroristica e criminale, corresponsabile della strage continua dei palestinesi e responsabile del massacro subito dagli israeliani il 7 ottobre. Sarebbe giusto far sapere a chi minaccia israele che la sua distruzione sarebbe anche la loro. Ma queste azioni di guerra a priori, questi processi sanguinosi alle intenzioni, aumentano i rischi di guerra mondiale, non la prevengono. L’Occidente dorme, si gira dall’altra parte, o peggio dalla parte di chi uccide e aggredisce.

Marcello Veneziani, 15/6/2025

Canzone del giorno: Black Tongue (2011) - Mastodon
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venerdì 13 giugno 2025

Insularità di animo

Questa violenza del paesaggio, questa crudeltà del clima, questa tensione continua di ogni aspetto, questi monumenti, anche del passato, magnifici ma incomprensibili perché non edificati da noi e che ci stanno intorno come bellissimi fantasmi muti; tutti questi governi, sbarcati in armi da chissà dove, subito serviti, presto detestati e sempre incompresi, che si sono espressi soltanto con opere d’arte per noi enigmatiche e con concretissimi esattori d’imposte spese poi altrove; tutte queste cose hanno formato il carattere nostro che rimane così condizionato da fatalità esteriori oltre che da una terrificante insularità di animo.

Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo (1958) – Ed.Feltrinelli

Canzone del giorno: Cosa vuoi che sia (2005) - Ligabue
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martedì 10 giugno 2025

Ne parliamo lunedì

D’accordo, d’accordo. Lunedì andrò a votare con l’entusiasmo di chi va dal dentista. Andrò tra l’ora di pranzo e il termine ultimo delle 15. E lo farò, perché credo nella democrazia diretta, nonostante tutto e tutti, promotori e dissuasori. Mi sono nutrito di campagne referendarie nei miei anni di formazione politica, dalla raccolta di firme, alla pulizia dei moduli, alla consegna in Cassazione. Raccolsi firme anche quando non potevo ancora votare, per i referendum sulla giustizia e ambientali del 1987. Ma questi cinque referendum dell’8-9 giugno mi hanno fatto sentire come un critico musicale costretto ad ascoltare l’ennesimo talent show. Tecnicamente perfetti (almeno così ha stabilito, nella sua giurisprudenza altalenante, la Corte Costituzionale), giuridicamente ineccepibili, politicamente… svuotati. E non riesco a togliermi di dosso l’idea che i promotori avessero preso lo strumento più potente della democrazia (se usato in maniera corretta) e l’avessero usato per aggiustare il rubinetto che perde. Anche questo ha reso difficile il confronto sui temi, soprattutto quelli del lavoro. […] Questi cinque quesiti soffrono della sindrome del referendum tecnico: sono giusti, necessari, ma non emozionano. Sono come l’ennesimo disco dei Rolling Stones ottantenni: ben fatto, ineccepibile, ma non ti cambia la vita. Il referendum dovrebbe essere il momento in cui il popolo prende in mano il destino del paese. Questi sembrano più un esame di diritto del lavoro a domande multiple. L’ironia è che io, che conosco tutto sui referendum, che ho seguito la raccolta firme, che ho partecipato ai dibattiti, sarò quello che esce dal seggio meno convinto. Forse è colpa mia, forse ho idealizzato troppo questo strumento. Forse pretendo troppo dalla democrazia diretta. Ma quando vedo persone che votano SÌ a tutto perché “tanto il governo deve cadere” o NO a tutto perché “non si cambia niente”, mi viene da pensare che abbiamo banalizzato qualcosa di prezioso. Il referendum è come il vinile: bellissimo, ma va usato per la musica giusta. Non puoi mettere la trap su un giradischi vintage e aspettarti che funzioni. E comunque, anche con la musica giusta, non ti restituirà mai i tuoi vent’anni. Questi referendum del 2025 sono (forse) tecnicamente perfetti ma emotivamente vuoti. Servono a correggere errori del passato, non a immaginare il futuro. Sono chirurgia, non rivoluzione. Voterò SÌ a tutto, perché comunque rappresentano un miglioramento rispetto all’esistente. Ma lo farò senza entusiasmo, come si fa la spesa al supermercato: necessario, ma non esaltante. Il referendum rimane uno strumento magnifico della democrazia. Ma forse dovremmo usarlo con più parsimonia e più ambizione. Meno micro-ingegneria giuridica, più grandi scelte di civiltà. Oppure dovremmo accettare che anche i referendum sono diventati normali, quotidiani, tecnici. Parte del gioco democratico ordinario invece che momenti straordinari di partecipazione popolare. E, visto il livello del gioco democratico ordinario del nostro paese, la crisi del referendum è solo un’altra faccia della crisi generale del paese. Ma non mi convincerete mai, che questa trasformazione è un segno di maturità democratica, quando persino gli strumenti più nobili diventano routine. A me la routine non è mai piaciuta. Preferivo quando i referendum facevano paura al potere.

Marco Di Salvo, glistatigenerali.com (7/6/2025)

Canzone del giorno: E' solo lunedì (2011) - Verdena
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lunedì 9 giugno 2025

Bloccati

Se siete seri, siete bloccati. L’umorismo è la via più rapida per invertire questo processo. Se potete ridere di una cosa, potete anche cambiarla.

Richard Bandler


Canzone del giorno: Return To Fantasy (1975) - Uriah Heep
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venerdì 6 giugno 2025

Cortocircuito esistenziale

Il vero obiettivo d’un terrorista non è uccidere la vittima, è cambiare chi le sopravvive. Così, il successo di Osama bin Laden non fu il crollo delle Torri. Fu Guantanamo: l’aver ferito così a fondo l’America da indurla a tradire i propri valori inventandosi un lager extraterritoriale per jihadisti. Nella medesima ottica, il massimo risultato di Hamas non è stato il pogrom del 7 ottobre. È stato risucchiare Israele in un cortocircuito esistenziale. Provocandone una reazione che, dapprincipio emotivamente inevitabile ma poi sospinta oltre ogni criterio di umanità e di onore, sta trasformando la nazione con la Stella di David in uno «Stato paria», secondo le abrasive parole del «sionista di sinistra» Yair Golan, vicecapo di stato maggiore in congedo, leader dei democratici e coscienza critica di un popolo sull’orlo di una crisi d’identità. Passati i seicento giorni di caccia agli assassini di Hamas, l’assenza di una plausibile politica che non sia il mero svuotamento della Striscia esaspera i contorni del dramma. La tregua, se scatterà, sarà friabile poiché nessuno crede in essa. Anche se il numero delle vittime fosse un terzo di quello comunicato dal ministero della Sanità di Gaza (in mano ai terroristi e dunque tutt’altro che affidabile) sarebbe già spaventoso. Anche se la sospensione degli aiuti alla popolazione, ora ripristinati in minima parte, fosse funzionale a minare il potere di Hamas (e certo lo è, poiché gli islamisti li hanno sempre sfruttati come leva di consenso) le immagini dei bambini gazawi denutriti sono intollerabili. Anche se Hamas ha usato e usa i palestinesi come arma ibrida (e lo fa, sparando da scuole e ospedali) l’eliminazione di un capo terrorista non può giustificare il sistematico sacrificio dei civili in mezzo ai quali quello si è nascosto. L’etica pur fragile d’una guerra asimmetrica impone a un Paese democratico di farsi carico persino dell’altrui ferinità: a meno di accettare che settantasette anni di strenua lotta per non essere cancellato dalle mappe ne abbiano davvero stravolto i codici morali e genetici. (…) Per paradosso, la pura realtà ci è sempre stata rammentata dai capi di Hamas, in dorato esilio o nei tunnel che fossero: costoro chiedevano a gran voce il sangue delle donne e dei bambini palestinesi, del loro popolo, per irrorare la rivoluzione islamica. La debolezza di Israele è stata non sapersi sottrarre mai a questo sciagurato invito, facendosene anzi strumento. Netanyahu ha avuto ristoro dall’umiliazione del 7 ottobre: contro Hezbollah, contro Damasco, contro Teheran, contro la dirigenza di Hamas. Avrebbe potuto dichiarare vittoria dopo l’eliminazione di Yaya Sinwar, l’architetto del pogrom, dedicandosi alla politica del giorno dopo. Non lo ha fatto perché la guerra lo tiene in vita: così come lo stallo sugli ostaggi, che Hamas potrebbe liberare tutti domattina mettendone in mora l’opzione bellica. Ma Hamas è speculare a Netanyahu, può perdere la guerra fino all’ultimo gazawi ma non può vincere la pace. E sa che gli israeliani, senza la liberazione dei restanti ostaggi vivi e la restituzione dei morti, non potranno mai superare il trauma del 7 ottobre, rimanendo incatenati a un premier che appare ormai il pericoloso moltiplicatore di ogni radicalismo religioso. (…) Al di là delle sempre più frequenti prese di posizione pubbliche di migliaia di riservisti, ex primi ministri ed ex ambasciatori di Gerusalemme, basta ascoltare qualche voce fuoricampo da laggiù per cogliere il travaglio di chi non crede più alla formula ormai svuotata di «due popoli, due Stati» ma è consapevole dell’esistenza di due popoli senza leadership che, in attesa di superare gli orrori del 7 ottobre e di Gaza e gli errori della Cisgiordania, devono ricominciare a parlarsi. È il primo passo, che noi europei facemmo dopo la Seconda guerra mondiale. E va compiuto fermando, prima ancora del sangue, il discorso d’odio che ne è presupposto. Se chi scenderà in piazza nei prossimi giorni in Italia riuscirà a ricordarlo, quelle manifestazioni troveranno infine un senso tutto nuovo.

Goffredo Buccini, Corriere della Sera (3/6/2025)

Canzone del giorno: Guilty (1974) - Randy Newman
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mercoledì 4 giugno 2025

Idiozie illimitate


«Un cervello limitato contiene una quantità illimitata di idiozie».

Stanislaw Jerzy Lec (1909 – 1966) 


Canzone del giorno: What She Said (1985) - The Smiths
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lunedì 2 giugno 2025

La legge

Elle Kappa, da google.it














Canzone del giorno: Dark of the Midnight (2022) - Andy Fairwheather Low
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domenica 1 giugno 2025

Playlist Maggio 2025

      1.      Meat Loaf, Razor’s Edge – (Midnight At The Lost Found – 1983) – Senso di colpa

2.      John Lennon, Working Class Hero – (John Lennon/Plastic One Band – 1970) – Lavoro dignitoso

3.      Ornella Vanoni feat Bungaro e Pacifico, Imparare ad amarsi – (Un pugno di stelle – 2018) – Tutto è dovuto

4.      Buddy Guy, Come See About Me – (Hold That Plane! – 1972) – Leone XIV

5.      Muse, Thought Contagion – (Simulation Theory – 2018) – Lingua

6.      Elisa, Hope – (Ritorno al futuro/Back to the Future – 2022) – Coltivare la Speranza

7.      Three Days Grace, Human Race – (Human – 2015) – Brutalità

8.      Sarah Vaughan, Your Smile – (Brasilian Romance – 1987) – Il sorriso

9.      The White Stripes, Effect and Cause – (Icky Thump – 2007) – Effetti grotteschi

10.   Korn, Strapped Underneath the Stairs – (Korn III: Remenber… – 2010) – Solidarietà a Bibi

11.   Achille Lauro, Perdutamente – (Comuni mortali – 2025) – Convinzioni

12.   Emili Sandé, Happen – (Long Live the Angels – 2016) – Avvenire

13.   Kacey Musgraves, Sway – (Deeper Well – 2024) – Ondeggiare