nuovigiorni

"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

domenica 29 agosto 2021

Contractor

La discussione sul perché della sconfitta Usa e occidentale in Afghanistan si è concentrata per intero sulla possibilità o impossibilità (ovvero sulla liceità o illiceità) di trapiantare la democrazia in un Paese di cultura non occidentale, e di farlo mediante la guerra. Non si è discusso per niente, invece, di un’altra questione che a me sembra ancora più importante, e cioèè possibile tentare una simile impresa con un esercito come quello degli Stati Uniti? Una domanda elusa probabilmente perché ne implica immediatamente un paio di altre che l’opinione pubblica occidentale, cioè noi tutti, non abbiamo il coraggio di porci, forse proprio perché conosciamo fin troppo bene le risposte: sono ancora in grado le nostre società di fare la guerra? Di sostenere psicologicamente l’urto terribile di una dimensione per così dire volontaria della morte? Siamo noi ancora capaci di accettare l’eventualità di dare o ricevere consapevolmente la morte, così come da sempre vuol dire «fare la guerra»? Domande cruciali perché è dalla risposta ad esse che dipende il tipo di strumento militare che si mette in campo, il suo modo di combattere e di occupare un Paese, e alla fine il risultato politico della guerra. Risultato politico che è l’unico che importa, dal momento che, come è evidente, la pura e semplice eliminazione fisica dell’avversario ne costituisce solo una premessa. Proprio considerando questo nodo di problemi si può dire che forse il primo motivo per cui gli Usa hanno clamorosamente fallito l’obiettivo di dar vita in Afghanistan ad un abbozzo di regime democratico sia stato per l’appunto il tipo di esercito che essi hanno schierato. Si è trattato di qualcosa che più che a un esercito tradizionalmente inteso assomigliava in realtà a un’armata mista di soldati regolari e di mercenari, in cui il ruolo di quest’ultimi era svolto dai cosiddetti contractor. Utilizzati dagli Stati Uniti a partire dagli anni ’90 in tutti i teatri di operazione (dai Balcani all’Irak) i contractor sono individui assunti da ditte private le quali hanno stipulato appositi contratti con il Pentagono (attualmente il numero di tali contratti è di alcune migliaia) per la fornitura di personale da utilizzare in operazioni belliche con compiti di supporto logistico di ogni tipo, di pianificazione strategica, protezione di impianti, ma anche in operazioni tattiche di combattimento. […]…sono compatibili o no la fine dell’esercito nazionale e la sua sostituzione con un esercito di specialisti e di mercenari, con una guerra che si pone obiettivi ideologici forti, intrisi di una carica valoriale, come è evidentemente una guerra «per portare la democrazia»? Ne dubito assai. Una guerra del genere, infatti, è credibile — e per riuscire essa deve essere credibile e apparire tale innanzi tutto agli occhi della popolazione a cui si dice di voler portare la libertà — solo se il Paese che decide di iniziarla vi impegna realmente tutto se stesso, cioè il proprio popolo, e questo mostra di aderirvi partecipando in armi, rischiando cioè la vita. Perché a dispetto di ogni mutamento ci sono cose che non cambiano e che valgono sotto tutti i cieli, ed una di queste è che solamente la disponibilità a mettere in gioco la nostra esistenza costituisce la prova indiscutibile della verità delle intenzioni che ci animano, della verità che attribuiamo ai nostri princìpi. E solo un esercito nazionale così motivato può occupare un territorio ostile e vinto senza trasformarlo in una bisca o in un mercato, come è stato invece il caso dell’Afghanistan. Solo un esercito di popolo può sperare di conquistare cuore e mente di qualcuno. Con un’armata di specialisti e di mercenari si possono fare al massimo operazioni di polizia; e anche quelle si finisce inevitabilmente per perderle nella maniera più rovinosa se ci si ostina a farle passare per qualcos’altro. Così come infatti sta ormai accadendo da molto tempo agli Stati Uniti e con loro all’intero Occidente. A noi tutti, convinti che in realtà non ci sia nulla per cui valga veramente la pena di morire, e che manchiamo perfino del coraggio di dircelo.

Ernesto Galli della Loggia, Corriere della Sera (28/8/2021)

Canzone del giorno: Fault Lines (2014) - Tom Petty and The Heartbreakers
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venerdì 27 agosto 2021

Il ritorno dei kamikaze

L’ attacco terroristico multiplo contro l’aeroporto di Kabul, con il pesante bilancio di vittime afghane e americane, porta con sé il timbro dei kamikaze dello Stato Islamico (Isis). È una mossa sanguinaria con cui i jihadisti dimostrano di saper sfruttare errori e debolezze dei loro avversari. Gli errori del presidente americano, Joe Biden, che ha avallato un ritiro affrettato — contro l’opinione del Pentagono e dell’intelligence — credendo nella possibilità di affidare la stabilità dell’Afghanistan ai talebani e alle loro promesse sottoscritte a Doha nel 2020.  E le debolezze dei talebani che, arrivati a Kabul senza sparare un colpo sono palesemente privi di apparati di sicurezza e di leader capaci di controllare il territorio nazionale e impedire le infiltrazioni della "Provincia del Khorasan", espressione locale dei rivali jihadisti dell’Isis.  A conferma delle evidenti vulnerabilità del patto Usa-talebani sulla transizione a Kabul, i jihadisti sono riusciti a eseguire l’attacco multiplo nonostante il capo della Cia, William Burns, sia arrivato a Kabul per incontrare il capo dei talebani, Baradar, proprio al fine di impedirlo, affermando di avere prove schiaccianti sulla pianificazione in corso da parte dell’Isis.  Il risultato è che l’Afghanistan da cui gli americani hanno fretta di ritirarsi e che i talebani non riescono a controllare si presenta oggi come il più invitante degli "Stati falliti" dove l’Isis può avere l’ambizione di risorgere, con obiettivi talmente feroci da far impallidire ciò che rest a della vecchia Al Qaeda. Inviando un messaggio inequivocabile a chi — da Mosca a Pechino, da Teheran e Islamabad — già faceva piani per un riassetto strategico regionale a proprio vantaggio: chiunque si avvicinerà a Kabul dovrà fare i conti con la Jihad. Il tutto condito dall’esaltazione delle altre "province" dell’Isis, dal Sahel allo Yemen, dal Corno d’Africa al Nord della Siria, che vedono nella strage di Kabul l’inizio di un possibile riscatto a quasi quattro anni dalla caduta di Raqqa.


Mauro Molinari, la Repubblica (27/8/21)


Canzone del giorno: Black Moon (1992) - Emerson, Lake & Palmer
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martedì 24 agosto 2021

Ransom Mafia

Maze, una sigla semplice. Una sigla che per almeno due anni è stata l’incubo delle aziende pubbliche e private, dei governi, di multinazionali come Canon, Lg, Xerox. Un gruppo di hacker in grado di bloccare sistemi, rubare dati, ricattare società e privati. Un gruppo pericoloso che per primo ha utilizzato la strategia del «name & shame», letteralmente nominare e svergognare. Il primo novembre 2020 ha dichiarato «chiuso il progetto» in grande stile, con un comunicato stampa pubblicato online in cui sottolineava che non ci sarebbero stati successori. Ma non è scomparso. Anzi. Già qualche mese prima della resa, un’altra banda, addirittura più capace e potente, era comparsa sulla scena: Egregor. In un anno ha sferrato oltre 200 attacchi e gli analisti ritengono possa essere lo schermo per gli affiliati di Maze. E poi ce ne sono tanti altri perché questa Ransom Mafia, come è stata definita, ricalca il mondo criminale «analogico»: individui che si riuniscono in gang, formano e sciolgono alleanze, si raggruppano in cartelli. A raccontare la guerra ormai diventata globale è un rapporto riservato dell’intelligence italiana che ricostruisce le strategie di questi cybercriminali, i loro obiettivi, le loro origini. Contiene nomi e date di una battaglia di cui l’Italia ha visto gli effetti più evidenti con l’assalto contro la Regione Lazio. Ma riporta soprattutto un dato che fa ben comprendere quale sia la posta in gioco: nel 2019 sono stati pagati 9,7 miliardi di euro per impedire ai criminali di bloccare i sistemi aziendali e diffondere le informazioni riservate, nel primo quadrimestre del 2021 questa cifra ha già raggiunto i 17 miliardi di euro. [...] Finora gli attacchi ransomware hanno colpito gestori delle reti energetiche e telefoniche, scuole e ospedali ma anche società quotate in Borsa. Hanno ricattato aziende di piccolo e medio livello che la pubblicazione dei dati avrebbe annientato e colossi industriali disponibili a pagare pur di mettere al sicuro le informazioni riservate. Ma soprattutto hanno trattato direttamente con i governi, proprio come avviene quando le formazioni terroristiche catturano gli ostaggi. Secondo l’ultimo rapporto The State of Ransomware 2021 di Sophos, la maggior parte degli attacchi arriva da Russia, Cina e Corea del Nord ma ci sono altri focolai in Vietnam, Ucraina, India. I più clamorosi sono stati sferrati dal gruppo Revil nel 2021. In marzo hanno chiesto al colosso taiwanese Acer 42 milioni di euro. In aprile la medesima cifra a un partner di Apple per non diffondere segreti industriali. Subito dopo hanno preso di mira JBS Foods, che ha subito una richiesta per 9,3 milioni di euro, e in luglio, tramite il fornitore Kaseya, sono penetrati nei sistemi di numerose aziende chiedendo un totale di 59,5 milioni di euro.

Alessio Lana e Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera (8/8/2021)

Canzone del giorno: I Love My Computer (2000) - Bad Religion
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domenica 22 agosto 2021

Circostanze

Le persone che si lamentano del proprio stato danno sempre la colpa alle circostanze. Le persone che vanno avanti in questo mondo sono quelle che si danno da fare e cercano le circostanze che vogliono e se non riescono a trovarle, le creano.

George Bernard Shaw (1856 - 1950) - La professione della signora Warren


Canzone del giorno: Change (2008) - Taylor Swift
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giovedì 19 agosto 2021

Caos a Kabul

Ma il modo in cui la crisi è precipitata in poche ore — governo Ghani in fuga, evaporazione di un esercito afghano costruito e addestrato per vent’anni dagli Usa con un investimento di 83 miliardi di dollari, le immagini dei civili che si aggrappano agli aerei militari Usa e cadono nel vuoto — apre scenari assai più drammatici di quelli che erano stati messi in conto dal presidente democratico quando, il 6 aprile scorso, ordinò il ritiro totale e in tempi rapidi, respingendo la richiesta dei capi militari di un’evacuazione più graduale, rinegoziandone le condizioni coi talebani. Allergico ai rinvii del Pentagono, Biden era comunque convinto che il ritiro potesse avvenire in modo ordinato. E invece lo spettro di Saigon si è materializzato un’altra volta, 46 anni dopo: un fallimento politico, militare e dell’intelligence Usa con gli analisti che ora si dividono tra chi considera più gravi i rischi di un ritorno del terrorismo radicale jihadista che riconquista un territorio nel quale creare un emirato islamico e chi giudica, invece, più grave la perdita di credibilità degli Stati Uniti e di tutto l’Occidente: si apre un vuoto che può essere sfruttato dall’Iran, dalla Russia e dalla Cina. […] Nulla di tutto questo è scontato: la nuova leva dei talebani, pur mantenendo un’impostazione radicale all’interno, potrebbe mostrarsi più prudente fuori dai confini per evitare altri conflitti, e non solo con gli Usa. Immaginare un ritorno al Grande Gioco costruito da varie potenze per oltre un secolo attorno all’Afghanistan rischia di essere solo una suggestione storica che non tiene conto di nuove realtà: la Cina, ad esempio, sarà interessata a colmare il vuoto lasciato dagli americani, ma, da Paese che reprime in modo brutale la minoranza musulmana degli uiguri, difficilmente sarà felice di avere uno stato islamico fondamentalista alle frontiere occidentali. Il vero disastro è il modo in cui vent’anni di lavoro — prima per costruire una diga contro il terrorismo, poi con l’obiettivo di esportare la democrazia e di garantire il rispetto dei diritti delle donne — sono svaniti in poche ore. Ne escono a pezzi soprattutto i servizi segreti che, pur consapevoli della debolezza del governo afghano, avevano escluso la possibilità di un suo crollo prima di 18 mesi. In un’era nella quale l’America non manda più soldati in giro per il mondo e svolge la sua sorveglianza affidandosi alla tecnologia dei droni, delle intercettazioni e degli algoritmi, l’intelligence è il suo principale strumento di difesa: questo fallimento è, quindi, agghiacciante. Ma c’è anche altro: una sorta di visione autoreferenziale del mondo nella quale tutti — politici, diplomatici, militari — sembrano aver commesso gli stessi errori di valutazione-

Massimo Gaggi, Il Corriere della Sera (17/8/21)

Canzone del giorno: Nowhere To Run (1974) - Ten Years After
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martedì 17 agosto 2021

Il rimpianto


Il rimpianto è un enorme spreco d'energia. Non vi si può costruire nulla sopra. Serve soltanto a sguazzarvi dentro.

Katherine Mansfield (1888 – 1923) – da “Je ne parle pas français” (1920) 


Canzone del giorno: Nessun rimpianto (1997) - 883
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sabato 14 agosto 2021

Così ho visto morire Kabul

Si parla molto di Afghanistan in questi giorni, dopo anni di coprifuoco mediatico. È difficile ignorare la notizia diffusa ieri: i talebani hanno conquistato anche Lashkar Gah e avanzano molto velocemente, le ambasciate evacuano il loro personale, si teme per l’aeroporto. Non mi sorprende questa situazione, come non dovrebbe sorprendere nessuno che abbia una discreta conoscenza dell’Afghanistan o almeno buona memoria. Mi sembra che manchino - meglio: che siano sempre mancate - entrambe. La guerra all’Afghanistan è stata - né più né meno - una guerra di aggressione iniziata all’indomani dell’attacco dell’11 settembre, dagli Stati Uniti a cui si sono accodati tutti i Paesi occidentali. [...] L’intervento della coalizione internazionale si tradusse, nei primi tre mesi del 2001, solo a Kabul e dintorni, in un numero vittime civili superiore agli attentati di New York. Nei mesi e negli anni successivi le informazioni sulle vittime sono diventate più incerte: secondo Costs of War della Brown University, circa 241 mila persone sono state vittime dirette della guerra e altre centinaia di migliaia sono morte a causa della fame, delle malattie e della mancanza di servizi essenziali. Solo nell’ultimo decennio, la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama) ha registrato almeno 28.866 bambini morti o feriti. E sono numeri certamente sottostimati. Ho vissuto in Afghanistan complessivamente 7 anni: ho visto aumentare il numero dei feriti e la violenza, mentre il Paese veniva progressivamente divorato dall’insicurezza e dalla corruzione.
Dicevamo 20 anni fa che questa guerra sarebbe stata un disastro per tutti. Oggi l’esito di quell’aggressione è sotto i nostri occhi: un fallimento da ogni punto di vista. Oltre alle 241 mila vittime e ai 5 milioni di sfollati, tra interni e richiedenti asilo, l’Afghanistan oggi è un Paese che sta per precipitare di nuovo in una guerra civile, i talebani sono più forti di prima, le truppe internazionali sono state sconfitte e la loro presenza e autorevolezza nell’area è ancora più debole che nel 2001. E soprattutto è un Paese distrutto, da cui chi può cerca di scappare anche se sa che dovrà patire l’inferno per arrivare in Europa. E propria  in questi giorni alcuni Paesi europei contestano la decisione della Commissione europea di mettere uno stop ai rimpatri dei profughi afgani in un Paese in fiamme. Per finanziare tutto questo, gli Stati Uniti hanno speso complessivamente oltre 2 mila miliardi di dollari, l’Italia 8,5 miliardi di Euro. Le grandi industrie di armi ringraziano: alla fine sono solo loro a trarre un bilancio positivo da questa guerra. Se quel fiume di denaro fosse andato all’Afghanistan, adesso il Paese sarebbe una grande Svizzera. E peraltro, alla fine, forse gli occidentali sarebbero riusciti ad averne così un qualche controllo, mentre ora sono costretti a fuggire con la coda fra le gambe. Ci sono delle persone che in quel Paese distrutto cercano ancora di tutelare i diritti essenziali. Ad esempio, gli ospedali e lo staff di Emergency - pieni di feriti - continuano a lavorare in mezzo ai combattimenti, correndo anche dei rischi per la propria incolumità: non posso scrivere di Afghanistan senza pensare prima di tutto a loro e agli afghani che stanno soffrendo in questo momento, veri "eroi di guerra".

Gino Strada, la Stampa (13/8/21)

Canzone del giorno: Mankind (1996) - Pearl Jam
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giovedì 12 agosto 2021

Bugiardino

Bugiardino aiutami tu! Avete presente cos' è un "bugiardino"? Parliamo del foglietto, piegato meglio di cartina geografica, anzi, di un origami, che dimora dentro la scatola, la confezione, d'ogni farmaco medicinale. [...] Il bugiardino, come totem liberatorio da opporre a ogni complottismo, mi è venuto in mente in questi giorni pensando agli argomenti e alle certezze stringenti e inappellabili dei no-vax e area contigua, come al tempo del terrorismo armato, pronti ad affermare che dietro ogni vaccino e conseguente green pass si imporrebbe in cattiva sostanza tale proposito: "Usano l'emergenza per controllarci", pensiero condiviso dalla risorta componente nazi-maoista che completa il quadro di piazza. In breve, un progetto di lento sterminio di massa, una sorta di "soluzione finale", sia pure a scoppio ritardato, fuoco lento, voluta dai "poteri forti" neppure tanto occulti. [...] Leggiamo allora insieme, uno di questi bugiardini. Siccome gli altri, complottisti e no-vax, ritengono di avere in argomenti inoppugnabili, da parte nostra confessiamo di non avere l'obbligo di sentirci esperti di medicina e farmacologia, abbandoniamoci candidamente alla lettura da inermi cittadini, utenti. Già che ci sono, tiro fuori il bugiardino da uno dei miei farmaci di abituale uso, uno di quelli che più utilizzo, e procedo a leggerne nell'ordine gli effetti indesiderati in cui potrei incorrere. Dunque: disturbi della vista, vomito, cattiva digestione, infiammazione dello stomaco, dolore nella parsuperiore dell'addome, affaticamento, astenia, malessere e brividi, dolori diffusi, influenza, alterazione della sensibilità, perdita di coscienza anche accompagnata da mancanza di reazione agli stimoli esterni, stupore, sonnolenza, alterazioni dell'attenzione, mal di testa associato ad un senso di tensione dei muscoli del capo e della nuca, cefalea tensiva, agitazione, irrequietezza, difficoltà respiratoria, sudorazione, abbassamento della pressione del sangue, alterazione dei battiti del cuore, secchezza della bocca, diarrea, alterazioni del sangue, confusione, comparsa improvvisa di lesioni della pelle, ad esempio cambiamenti di colore a macchie diffuse, vomito contenente sangue, feci nere associati a sanguinamenti dello stomaco, gravi reazioni cutanee come arrossamento, formazione di bolle ed esfoliazione, attacco cardiaco, infarto del miocardio o ictus, gonfiore, edema, ridotta funzionalità (insufficienza) del cuore, tremore a riposo... Continuo? Al momento sono ancora vivo. Riuscirò però a resistere ai bugiardini informali dei no-vax? P. S. Il bugiardino in questione appartiene al farmaco che abitualmente uso in quanto emicranico. Adesso però, in attesa della morte sicura, comincia il compito più difficile: ripiegare il foglietto così come l'avevo trovato. Addio, amici, vi ho voluto bene.

Fulvio Abbate, il Riformista (4/8/21)

Canzone del giorno: L'estate enigmistica (2010) - Baustelle
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martedì 10 agosto 2021

Volti

Ci sentiamo sempre più giovani di quel che siamo. Mi porto dentro i miei volti precedenti, come un albero contiene i suoi anelli. Io sono la loro somma. Lo specchio vede solo il mio ultimo volto, ma io so anche tutti quelli precedenti.

Tomas Tranströmer (1931 – 2015)


Canzone del giorno: Faces of Stone (2015) - David Gilmour
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domenica 8 agosto 2021

Improcedibilità

La ministra della Giustizia sostiene che "dopo un reato è fondamentale accertare tutti i fatti e tutte le responsabilità e farlo in tempi certi. Nell'interesse delle vittime, degli imputati, di tutti i cittadini". Ma la domanda è proprio questa: la formula dell'improcedibilità, fissata in modo categorico dopo due anni in appello e dopo un anno in Cassazione, risponde davvero a questa esigenza? Purtroppo no. Lasciamo stare i processi per mafia, terrorismo, droga e quelli per delitti puniti con l'ergastolo: se anche per queste fattispecie gravissime scattasse comunque la tagliola dell'improcedibilità saremmo davvero al "de profundis" della Costituzione. La possibilità di proroghe motivate, rinnovabili e impugnabili, prevista in questi casi estremi con le modifiche apportate dall'ultimo Cdm, è davvero il minimo sindacale per uno "Stato di diritto". Ma cosa succede ai processi per altri reati, esclusi dall'elenco delle deroghe aggiunte dopo le febbrili trattative tra governo e maggioranza? Per definizione, quando si stila un elenco si include e al tempo stesso si esclude. Nessuno scandalo: semplicemente, l'esecutivo fa una scelta politica su cosa debba rientrare e cosa debba star fuori. Ora è un fatto oggettivo, non smentito, che se questa riforma fosse già in vigore sarebbero esclusi dall'elenco delle deroghe, e dunque finirebbero nel "nulla improcedibile", processi come la strage di Viareggio, la tragedia della funivia del Mottarone, l'omicidio in carcere di Stefano Cucchi, i morti sul lavoro. Cosa resta, in questi casi, dell' "interesse delle vittime" di cui parla giustamente la Cartabia e di cui riempiamo sdegnati le prime pagine dei giornali, ogni volta che processi di questa portata cadono in prescrizione? [...] Poi certo, c'è "l'opportunità", che è altrettanto evidente. Si chiama Next Generation Eu. I primi 25 miliardi sono in arrivo. Poi arriveranno gli altri 180, se faremo davvero le riforme. La giustizia è la prima sulla quale il premier si è impegnato con Bruxelles. Per questo ha annunciato subito la fiducia sul maxi-emendamento e lo vuole al traguardo prima delle ferie d'agosto. Tutto legittimo. Purché, anche qui, si dica la verità. La priorità degli interventi per noi è scritta nel Recovery Plan, a pagina 51: "Nelle «Country Specific Recommendations» indirizzate al nostro Paese negli anni 2019 e 2020 la Commissione Ue… invita l'Italia ad aumentare l'efficienza del sistema giudiziario civile". Perché una giustizia civile più efficiente spinge il Pil dello 0,5% l'anno, rende "i mercati più contendibili", riduce "l'incertezza sui rendimenti di capitale", migliora il "finanziamento per famiglie e imprese", stimola "investimenti interni e dall'estero". Di penale, nel Recovery tricolore, si parla in tutt'altro senso: la Commissione invita l'Italia "a favorire la repressione della corruzione, anche attraverso una minore durata dei procedimenti penali". Tutto qui. Naturalmente nessuno si sogna di dire per questo che un intervento sul penale non serve. Al contrario: è urgente, per i motivi che ho spiegato. Ma quello che dobbiamo invece dire è che la clausola del "ce lo chiede l'Europa" in questo caso non funziona. L'Europa, qui ed ora, ci chiede altro (la riforma del civile). E questo "altro" Draghi e Cartabia lo hanno posposto. Anche questo è legittimo: si tratta, di nuovo, di una scelta politica.

Massimo Giannini, la Stampa (1/8/21)

Canzone del giorno: Bad Contract (2016) - Toronzo Cannon
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giovedì 5 agosto 2021

Semestre bianco

Renzo Laconi, dice niente? Proprio niente? Peccato. Perché ne sentiremo parlare, e forse dovremo perfino imparare a conoscerlo. È a lui, infatti, che dobbiamo quella sorta di Glaciazione Istituzionale nella quale sta per precipitare il Paese: essendo stato lui a immaginare e volere – tre quarti di secolo fa – quella tagliola che porta il nome un po’ desolante di semestre bianco. Renzo Laconi era un deputato membro dell’Assemblea costituente. Sardo, filosofo e naturalmente comunista: diciamo naturalmente perché fu lui – segnato dall’opposizione al regime fascista – a vedere un possibile problema nell’impalcatura costituzionale che, finita la guerra, si stava finalmente progettando: «Se il Presidente della Repubblica, allo scadere del suo mandato, si trovasse con due Camere le quali in modo evidente non gli fossero favorevoli, egli potrebbe benissimo scioglierle e prorogare i suoi poteri per avere nuove Camere che potrebbero essere a lui più favorevoli». E così, l’Assemblea costituente condivise il timore e stabilì che negli ultimi sei mesi del suo mandato il Presidente della Repubblica non potesse sciogliere le Camere e portare il Paese alle elezioni anticipate. Il cosiddetto semestre bianco, dunque, nasce da una «preoccupazione partitica» – diciamo così – nei confronti delle mosse di un Presidente della Repubblica che volesse restare al suo posto per un secondo mandato: uno scenario che evidentemente fa sorridere, se paracadutato nell’oggi. [...] Chi ha un minimo di interesse per la politica, sa che l’elezione del capo dello Stato rappresenta da sempre una prova difficile e delicata per tutti i partiti. Non sempre il percorso è semplice. Quasi mai è lineare. A volte ci si ingarbuglia a tal punto che nessuna soluzione sembra più possibile: poi qualcuno tira fuori il coniglio dal cilindro. L’ultima volta fu Renzi, con la sorpresa-Mattarella. Stavolta ci si guarda intorno ma registi non se ne vedono. A meno che non si punti a semplificare la questione... Qualcuno lo ha già fatto e dice: Draghi è la nostra garanzia verso l’Europa, dunque non è il caso che lasci ora palazzo Chigi. Qualcun altro ha aggiunto: Mattarella resti ancora al Quirinale fino a fine legislatura (primavera 2023) e poi il nuovo Parlamento sceglierà il successore. L’ultimo, infine, ha domandato: ma gli altri sono tutti d’accordo? Ecco, questo semestre bianco comincia così. E se il buongiorno si vede dal mattino…

Federico Geremicca, la Stampa (31/7/21)

Canzone del giorno:  White Flag (2003) - Dido
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martedì 3 agosto 2021

Cielo, Terra

Mauro Biani, da google.it



Canzone del giorno: Earth & Sky (1980) - Graham Nash
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lunedì 2 agosto 2021

L'oro

Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove...Il decimo secondo strozza in gola il respiro e sbarra gli occhi dell’Italia. Non c’è una parola adatta per questa impresa, e il lettore ci perdonerà se ce la caviamo con “L’oro”,  nel doppio senso di sostantivo che indica due sublimi medaglie e di pronome personale riferito a Marcell e Gimbo, i nomi che di bocca in bocca fanno in queste ore il giro del mondo. Tutte le altre aggettivazioni che segnano i trionfi dello sport, da "eroici" a "fantastici", da "campioni" a "leggendari", sembrano parole monche, inadatte a raccontare il silenzio profondo di un’emozione inesprimibile, tant’è forte, che ci attraversa tutti fino al midollo e ci trascina molto oltre la gioia del presente, lungo un racconto che inizia nella notte dei tempi. Quando le olimpiadi riapparvero dalla cantina dei secoli ad Atene, nel milleottocentonovantasei. Da quel giorno nessuno azzurro era mai approdato alla finale dei cento, ne era salito sul podio del salto in alto maschile. Eppure è inutile negarlo: quei dieci secondi sono da sempre la faccia e il cuore dei giochi, e quel volo oltre l'asticella è il simbolo dell’impegno sportivo, e non solo sportivo, a superarsi sempre. Stiamo vivendo e raccontando un’emozione preclusa a tutte le generazioni di italiani precedenti alla nostra, e che forse i posteri tramanderanno chissà per quanto tempo come un’impresa irripetibile. […] In undici minuti la geografia dello sport mondiale ha fatto una capriola e si è fermata sull’Italia. Contro ogni previsione, eppure secondo ogni ragionevolezza. Perché questo successo è il frutto di un grande lavoro di squadra che ha visto la nostra atletica impegnare per anni saperi e le energie migliori. Ma è anche il frutto di una cittadinanza aperta alle contaminazioni che possono fare più ricca la nostra identità. Per questo l’appello del presidente del Coni a riconoscere lo ius soli ai diciottenni cresciuti in Italia da genitori stranieri è una sveglia a una politica distante, allo stesso modo, dalle emergenze e dalle occasioni. Due straordinari occasioni colta al volo dei nostri atleti, insieme con la vittoria degli azzurri agli europei, portano l’Italia fuori dal tunnel  più oscuro della storia repubblicana. E premiano il sacrificio e la caparbietà di chi ha difeso in questi due anni il diritto allo sport contro la riduzione della vita alla sua dimensione biologica, indotta dall’emergenza. Perciò questa gioia incontenibile merita di essere goduta fino all’ultima goccia.

Alessandro Barbano, Corriere dello Sport  (2/8/21)

Canzone del giorno: Oro (1986) - Mango
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domenica 1 agosto 2021

Playlist Luglio 2021

 

1.      Nora Jean Wallace, Rag and Bucket – (Blueswoman – 2020) – Gregge

2.      Doors, Cars Hiss by My Window  (L.A. Woman – 1971) –  Auto volanti

3.      Pixies, Talent – (Head Carrier – 2016) – Il talento

4.      Freddie King, Ain’t Nobody’s Business What We Do(My Feeling For The Blues1970) –  La dote

5.      Gianna Nannini e Edoardo Bennato, Un’estate italiana – (1990) – Campioni d’Europa

6.      Michael Bublé, I’ts a Beautiful Day – (To Be Loved – 2013) – 11 Luglio

7.      Negrita,Il mio veleno – (L’uomo sogna di volare – 2005) – La vipera convertita

8.      Michael Jackson, Wanna Be Startin’ Somethin’  (Thriller – 1982) –  Green Pass

9.      Bon Jovi, Destination Anywhere  (Destination Anywhere – 1997) –  Arrivato

10.  Linkin Park, Breaking the Habit  (Meteora – 2003) –  L’abitudine

11.  Tiziano Ferro, L’Olimpiade – (Rosso relativo – 2001) – Olimpiadi di Tokyo

12.  ZZ Top, I Thank You – (Daguello – 1979) – La medaglia del nonno

13.  Bee Gees, How Deep Is Your Love – (Saturday Night Fever – 1977) – Colore