Abbiamo assistito in questi giorni, impotenti, al collasso della classe politica. Un indecoroso showdown finale, ma i sintomi del tracollo erano da tempo evidenti. Palese la progressiva perdita di autorità di un ceto politico fragile, sradicato dagli interessi materiali dei rappresentati, incapace di costruire il nuovo, persino di gestire l’esistente. Un’introversione che ha trasformato la natura della nostra classe governante: non più «dirigente» ma solo «dominante». [...] È allora alla debolezza complessiva del sistema democratico che dobbiamo guardare se non vogliamo finire per rimanere tutti travolti sotto le macerie di un regime di poteri ormai a pezzi. Non è neppure questione dell’ultimo governo o del prossimo. Non si può ridurre tutto alle inadeguatezze ovvero alle virtù, all’accusa ovvero alla difesa, del governo giallorosso, il quale ha tentato di far fronte ad un’emergenza imprevista e incontenibile con numerose incertezze, diversi errori, qualche successo, molte giustificazioni. Non è la problematica gestione della pandemia il reale problema, semmai questa ha mostrato con drammatica evidenza tutti i difetti del nostro sistema politico. [...] Draghi è il frutto del vuoto della politica, non la sua causa. Per questo – volendo risalire alle profonde ragioni della crisi e non rimanere solo avvinghiati agli effetti – bisogna riconoscere che il vero problema è il «vuoto», non chi lo ha riempito. Anche perché la sfida che ci attende è tutta politica. Non è infatti in discussione la sicura competenza e l’alto profilo del prossimo governo, né è da sottovalutare il valore che questo rappresenta. La questione da porre però è quella del fine che un governo dei migliori deve avere. Ecco il punto critico: mi chiedo chi oggi sappia rispondere alla domanda sui «fini». Non vedo nessuno che si interroghi sulle grandi questioni strategiche, tutti presi a salvare solo se stessi. È qui che si intravede la miseria della politica e, in essa, i limiti della sinistra. Una politica che ha ormai perduto la sua capacità di costruire modelli di civiltà e orizzonti di liberazione; essa si è ridotta a mera tattica, estemporanee dirette sui social e disinvolti giochi di palazzo. Una sinistra che ha rinunciato alle sue «utopie concrete», ai valori storici che l’hanno legittimata (l’eguaglianza nei diritti e il rispetto della dignità sociale), ai nobili ideali, tutti sacrificati sull’altare della modernità del mercato e dello sviluppo.
Gaetano Azzariti, Il Manifesto (4/2/2021)
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