Più della metà degli immigrati che
vivono in Italia arriva da Paesi europei. Nove su dieci risiedono nel nostro
Paese da più di cinque anni. E la stragrande maggioranza di loro non sono né
richiedenti asilo né rifugiati: hanno il permesso di lavoro o arrivano per
ricongiungimento familiare. Alcuni dati del terzo rapporto annuale dell’Osservatorio sulle
migrazioni, finanziato
dalla Compagnia di SanPaolo e presentato questa mattina a Torino, contrastano
con la narrativa che denuncia un’invasione. «La presenza di stranieri in Italia
è al di sotto della media dei Paesi dell’Europa occidentale e settentrionale –
spiega il professor Tommaso Frattino, responsabile della ricerca insieme a
Natalia Vigezzi -. Di questi tempi pensiamo agli immigrati e vengono subito in
mente gli sbarchi, ma i richiedenti asilo e coloro che chiedono protezione
umanitaria rappresentano una percentuale minima. La retorica dell’emergenza non
trova riscontro nei dati».
Il rapporto analizza i numeri di tutta
Europa, dove il numero di immigrati è aumentato di due milioni all’anno negli
ultimi due anni: nell’Unione Europea un residente su dieci è immigrato. In
Italia sono circa sei milioni (il 10% della popolazione). Più della metà, il
56%, è di origine europea: il 35% arriva da Paesi dell’Unione, il 21% da Paesi
extra Ue. Il resto proviene da Africa e Medio Oriente (17%), Oceania e Americhe
(13%) e Asia (14%). Il 90%, poi, vive nel nostro Paese da più di cinque anni.
La teoria dell’invasione, di nuovo, scricchiola.
Per quel che riguarda l’istruzione, il
livello degli stranieri in Europa riflette quello del resto della popolazione.
I Paesi con una maggior proporzione di persone con istruzione universitaria
hanno anche una maggior quota di immigrati laureati, quelli con una scarsa
istruzione universitaria (come l’Italia) ne hanno meno. In tutti gli Stati
europei la probabilità di trovare impiego, per gli immigrati, aumenta con il
passare del tempo. L’Italia, a questo proposito, rappresenta un unicum. Solo
nel nostro Paese, infatti, la probabilità raggiunge quella del resto della
popolazione dopo sei anni di residenza. La supera, addirittura, dopo sette.
Rimangono, però, le differenze di stipendio: più basso per gli immigrati, più
alto per gli italiani. Il dato, spiegano i ricercatori, è dovuto alla concentrazione
degli stranieri occupati in settori lavorativi meno retribuiti. Una condizione
che accomuna tutti i Paesi europei, dove negli ultimi anni si è registrato un
progressivo deterioramento delle condizioni lavorative degli immigrati, sempre
più concentrati in occupazioni poco qualificate e poco retribuite. In tutta
Europa gli immigrati hanno una maggiore probabilità di trovarsi nelle zone più
basse della distribuzione del reddito. Ciò avviene in tutti i Paesi a eccezione
del Regno Unito dopo il 2013. Questa situazione è più accentuata in Italia e
Spagna, dove gli immigrati hanno una probabilità di trovarsi nel dieci per
cento della popolazione con il reddito più basso più che doppia rispetto al
resto della popolazione. «In questi ultimi anni si registra una concentrazione
crescente degli immigrati in settori svantaggiati del mercato del lavoro,
soprattutto in alcuni Paesi come l’Italia – si legge nelle conclusioni del
rapporto – La chiusura crescente all’immigrazione per motivi di lavoro dai
Paesi extra-europei può avere contribuito a generare o accelerare, questo
trend».
Filippo Femia, La Stampa (1/2/2019)
Canzone del giorno: Alien Nation (1993) - Scorpions
Clicca e ascolta: Alien....