Jobs con la sua aureola da guru, lo stile zen, aveva inventato una
favola moderna di micidiale efficacia, obbligandoci tutti a inseguirlo per non sentirci dei rottami, anacronistici e
inadeguati. Il traguardo simbolico dei mille miliardi di capitalizzazione in Borsa fu il premio di
quella strategia. L’ultimo design, l’ultima app, l’ultima prestazione erano indispensabili per non sentirsi esclusi
e superati. Quel gioco sta mostrando segni di logoramento. L’ipnosi di massa
ha smesso di funzionare anche in Occidente.
Molti consumatori americani, anche se affezionati alla gamma
Apple, stanno decidendo di tenersi un modello “vecchio” per molti anni; se lo cambiano cercano
altri modelli semi-nuovi e scontati. Una quota crescente ha imparato a prolungare la vita e migliorare le
prestazioni cambiando solo la batteria, che costa una frazione dell’iPhone. Il paradosso per cui un iPhone costa
molto più di un frigorifero comincia a irritare anche Millennial e nativi digitali.
L’imbarazzo nel quartier generale di
Cupertino è palpabile, e come spesso accade nella storia di quest’azienda si trasforma in paranoia. Cook reagisce
accentuando la sindrome della segretezza: d’ora in avanti non rivelerà più quanti “pezzi” (iPhone,
iPad, iMac) vende ogni trimestre. I più cinici osservano che Apple — a differenza di Amazon, Facebook e Google —
paga lo scotto di non essere riuscita a costruire un monopolio.
Ma la perdita del 30% di valore in Borsa,
che ha cancellato 380 miliardi di dollari in due mesi, è una campana che suona per tutti i Padroni della Rete. I
cicli e le stagioni esistono ancora; ad ogni ascesa irresistibile seguirà un declino. Modelli di consumo, status symbol, tutto è soggetto a obsolescenza.
Federico Rampini, Repubblica (6/1/2018)
Canzone del giorno: Bloodstream (2014) - Ed Sheeran
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