Tutti i Paesi europei stanno riuscendo in questa fase a combinare la riduzione di deficit e debito e politiche di sostegno alla crescita. Noi no. Invece di cercare sempre responsabilità negli altri (vero sport nazionale) potremmo domandarci perché siamo gli ultimi della classe. Finora siamo solo riusciti nel capolavoro di far aumentare lo spread di 200 punti nella fase di riscaldamento prima ancora di iniziare la partita. I costi della strategia del conflitto sono stati sinora tutto sommato contenuti, ma potrebbero aumentare drammaticamente travolgendo il Governo stesso se non si trova un ragionevole compromesso.
Il problema che stiamo vivendo è però più profondo. Zygmunt Bauman confidava di non invidiare i leader politici nazionali nell’era della globalizzazione per i limitatissimi spazi di manovra di cui dispongono per modificare in meglio la vita dei loro cittadini. Partendo da questo dato di base viviamo oggi una stagione politica inquinata da un cortocircuito nel rapporto tra scienza, politica e comunicazione. Gli studi sulla dinamica del mercato del lavoro e degli effetti della quarta rivoluzione industriale convergono nell’identificare società polveriera dove al terzo della popolazione integrato, cosmopolita e con più elevati livelli d’istruzione da cui vengono solitamente le élite si contrappongono i due terzi dei ceti medi e meno abbienti che vedono davanti a loro un futuro peggiore del passato in termini di dignità e qualità del lavoro. Quei due terzi diventano il carburante di cicli politici esplosivi. Il populismo alimenta aspettative irrealistiche, e quando arriva al potere e scopre di non poter realizzare quei risultati cerca continuamente nemici e avversari per non perdere il consenso degli elettori in una vera e propria campagna elettorale permanente.
Per uscire da questa crisi ci vuole qualcosa di più profondo della ricerca di un nuovo leader. Bisogna bonificare il terreno del rapporto tra società e politica. Lavorando su cultura e comunicazione e costruendo una nuova visione ideale che responsabilizzi i cittadini. Formazione, innovazione, generatività, sostenibilità, sussidiarietà, capitale sociale, bene comune devono essere le parole d’ordine e i nuovi capisaldi.
Leonardo Becchetti, Avvenire (20/11/2018)
Il problema che stiamo vivendo è però più profondo. Zygmunt Bauman confidava di non invidiare i leader politici nazionali nell’era della globalizzazione per i limitatissimi spazi di manovra di cui dispongono per modificare in meglio la vita dei loro cittadini. Partendo da questo dato di base viviamo oggi una stagione politica inquinata da un cortocircuito nel rapporto tra scienza, politica e comunicazione. Gli studi sulla dinamica del mercato del lavoro e degli effetti della quarta rivoluzione industriale convergono nell’identificare società polveriera dove al terzo della popolazione integrato, cosmopolita e con più elevati livelli d’istruzione da cui vengono solitamente le élite si contrappongono i due terzi dei ceti medi e meno abbienti che vedono davanti a loro un futuro peggiore del passato in termini di dignità e qualità del lavoro. Quei due terzi diventano il carburante di cicli politici esplosivi. Il populismo alimenta aspettative irrealistiche, e quando arriva al potere e scopre di non poter realizzare quei risultati cerca continuamente nemici e avversari per non perdere il consenso degli elettori in una vera e propria campagna elettorale permanente.
Per uscire da questa crisi ci vuole qualcosa di più profondo della ricerca di un nuovo leader. Bisogna bonificare il terreno del rapporto tra società e politica. Lavorando su cultura e comunicazione e costruendo una nuova visione ideale che responsabilizzi i cittadini. Formazione, innovazione, generatività, sostenibilità, sussidiarietà, capitale sociale, bene comune devono essere le parole d’ordine e i nuovi capisaldi.
Leonardo Becchetti, Avvenire (20/11/2018)
Canzone del giorno: Fylingdale Fly (1980) - Jethro Tull
Clicca e ascolta: Fylingdale....