La distopia è l’anti-utopia, è l’utopia in
negativo. È distopica una società o una comunità immaginaria indesiderabile, al
punto da essere terrificante. “1984” di George Orwell è un capolavoro di
distopia. È un romanzo del genere tra i più letti. Ne sono stati venduti trenta
milioni di esemplari. Soltanto in Cina ne sono state pubblicate tredici
traduzioni. La diffusione di “1984” (la prima edizione è del 1949) aumenta,
puntualmente, col crescere dell’angoscia provocata da trasformazioni sociali e
politiche che si annunciano traumatizzanti. Che implicano alienazioni. Lo
rileva con argomenti convincenti Said Mahrane in un saggio apparso sul
settimanale parigino “Le Point” del 16 agosto. Ma non è soltanto Mahrane a
sostenere che questo accade, ad esempio, quando il “noi” soppianta l’“io”.
Quando affiora il sentimento che qualcosa di implacabile, senza rivelare
obbligatoriamente le proprie intenzioni, sta per condizionare le nostre
libertà. I grandi libri funzionano spesso come termometri delle nostre apprensioni.
(…)
Orwell è stato il primo a usare nel suo contesto
- nel 1945 - il termine “guerra fredda”. E ha descritto la “neolingua” creata
per adeguare il pensiero della gente alla volontà del potere. La sorveglianza
tecnologica, non ancora tanto estesa quando lo scrittore la descriveva dandole
dimensioni allora esagerate, sembrava destinata nelle sue pagine a divertire e
al tempo stesso a spiare, come se non fosse da prendere troppo sul serio. (…)Viveva
in un clima di forte tensione: il nazismo prendeva piede, nasceva lo
stalinismo, la guerra civile di Spagna precedeva di poco la Seconda guerra
mondiale. La nuova lettura cui si prestano i racconti dispotici di Orwell non
può condurci a paragonare i suoi ai nostri tempi. Sarebbe sciocco. Ma lo
sarebbe altrettanto trascurare l’emergere delle democrazie illiberali (le
“democrature”) che si danno apparenze democratiche, ma che sono piuttosto
indaffarate a reprimere gli oppositori.
Dopo la grande decolonizzazione degli anni Sessanta e con l’implosione dell’Unione Sovietica, il mondo poteva sembrare come una futura vasta prateria senza steccati: sempre meno frontiere e meno nazionalismi, macchie democratiche sempre più estese. Ed ecco invece che la prateria si sta trasformando in un groviglio di nazionalismi e di autoritarismi non certo simile a quello degli anni Trenta, ma con alcune sconcertanti somiglianze. Trump ed Erdogan - e altri uomini di potere dei nostri giorni, e di casa nostra - figurano come caricature del “grande fratello”. Si può riaprire “1984”. Non è un buon segno.
Dopo la grande decolonizzazione degli anni Sessanta e con l’implosione dell’Unione Sovietica, il mondo poteva sembrare come una futura vasta prateria senza steccati: sempre meno frontiere e meno nazionalismi, macchie democratiche sempre più estese. Ed ecco invece che la prateria si sta trasformando in un groviglio di nazionalismi e di autoritarismi non certo simile a quello degli anni Trenta, ma con alcune sconcertanti somiglianze. Trump ed Erdogan - e altri uomini di potere dei nostri giorni, e di casa nostra - figurano come caricature del “grande fratello”. Si può riaprire “1984”. Non è un buon segno.
Bernardo Valli, Dentro e fuori – E’ tornata l’ota
di leggere Orwell (L’Espresso 2/9/2108)
Canzone del giorno: Asking Too Much (2012) - All That Remains
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