Dopo l’approvazione da parte
della Camera dei Deputati, il disegno di legge sul biotestamento (c’è chi
preferisce chiamarla legge sul fine vita) è approdato in Senato e la Conferenza
dei capigruppo ha deciso stamani di fissare il voto finale per il prossimo 14
dicembre.
Sono stati presentati 3.000 emendamenti
(soprattutto dalla Lega di Salvini e da Alleanza Popolare di Alfano), ma è chiaro
che ogni modifica sostanziale al testo già votato alla Camera non permetterebbe
l’approvazione della legge, tenuto conto che la legislatura attuale sta per
terminare.
Il testo del ddl presenta senz’altro
delle criticità e le perplessità sono “fisiologiche” dinanzi a temi etici così
delicati.
Nei vari paesi europei il quadro
normativo è variegato ma in 13 nazioni (tra cui la Spagna, la Germania e il
Regno Unito) da tempo esiste una legge che consente di stabilire in anticipo,
con valore legale e vincolante, i trattamenti cui non si vuole essere
sottoposti nel caso d’impossibilità di esprimere la propria volontà.
Nel nostro paese c’è un vuoto
normativo che potrebbe adesso essere colmato, nonostante un ostruzionismo che,
come accade sovente in questi casi, ha a che fare con i soliti calcoli e
opportunismi elettorali.
Scrive Ennio Fortuna sul Il
Gazzettino di Venezia: “C’è un solo
problema che agita le coscienze: il malato, secondo il testo della Camera, può rifiutare anche la nutrizione e l’idratazione
artificiale, ritenute e trattate come un comune trattamento sanitario. Secondo i
cattolici, ma non tutti, questa facoltà si pone assai vicina ad una forma di
suicidio assistito ed è pertanto da rifiutare. Ricordo qui ai non giuristi che
secondo la stessa Costituzione (art.32),
il malato è ammesso a rifiutare ogni trattamento sanitario che il medico è
tenuto ad illustrargli, salvo quelli imposti con diretta prescrizioni di legge
(ad esempio le vaccinazioni). Indubbiamente il diritto di rifiutare il cibo e l’acqua
si pone al limite del lecito, ma va sottolineato che qui si parla di nutrizione
o di idratazione artificiale, non naturale, che è sempre prescritta con ricetta
medica e che quindi è equiparabile senza particolari forzature agli altri
trattamenti sanitari. Il compenso il diritto di rifiutare riconosce finalmente
la maturità del malato e ne accetta le decisioni, vincolando il medico ad
eseguirle, salva la facoltà di obiezione di coscienza. In pratica la legge
garantisce un percorso giusto e onorevole e lascia all’individuo, com’è giusto,
il diritto di decidere”.
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