"Spingo i ricordi in un imbuto del vivere dove possano passare a un'altra a uno, in fila, senza toccarsi, come i granelli di una clessidra. Dove il tempo è un gioco incomprensibile di dita che non so contare, che mai ho saputo contare.
Poi scalciano, questi ricordi, non vogliono saperne di stare fermi.
Questa è una lettera, sì, di quelle che avresti voluto scrivere e consegnare in mano al destinatario magari guardandolo negli occhi, o pulendoti le lacrime.
Lo sai meglio di me che un conto è narrare la propria vita per quanto la memoria possa aiutarti, un conto è denudarsi e sperare che questo atto non venga frainteso.
Lo sai meglio di me che un conto è narrare la propria vita per quanto la memoria possa aiutarti, un conto è denudarsi e sperare che questo atto non venga frainteso.
Sai, mi sono domandato spesso se questo scrivermi sarebbe potuto essere condiviso da te, oppure rifiutato. Prima ho pensato che potesse essere la violazione di una intensità a cui sempre hai tenuto, in cui c'ero anche io, seppure in una maniera insostenibile; poi ho creduto che guardare faccia a faccia gli accadimenti fosse unico modo per ricevere un perdono. Non il perdono tu, o il perdono da esibire per far tacere la coscienza; ma il perdono come conciliazione con un passato preso di striscio, un passato che ancora attende una soluzione".
Cristiano De André, La versione di C. (Mondadori)