Il voto referendario britannico scuote il mondo intero.
La Brexit può avere ripercussioni sino a pochi giorni fa inaspettate.
Per il momento fa crollare le Borse europee. Le società quotate in Piazza Affari registrano in un giorno una perdita complessiva di 63 miliardi.
Il quotidiano Milano Finanza si pone l'interrogativo se tale crollo ha un senso. Nel suo editoriale Paolo Panerai ci ricorda che: "Il cittadino dell'Europa continentale che andava in Gran Bretagna si sentiva estraneo per almeno due fattori: doveva tirare fuori il passaporto e cambiare in sterline i suoi euro. Vale a dire che Schengen e l'euro, i due risultati più simbolici dell'Unione europea (e forse gli unici, dal lato dei cittadini), erano stati volutamente rifiutati dalla Gran Bretagna. Se un governo e un popolo rifiutano anche i simboli di un'unione, a maggior ragione se portatori anche di aspetti pratici, voleva dire appunto che il paese di Albione (come già gli antichi greci chiamavano l'isola più grande del continente) o meglio la Perfida Albione, pur se nominalmente nell'Europa unita, di fatto ne era mezza fuori. La matematica dice che cambiando l'ordine dei fattori il prodotto non cambia, anche se i fattori non sono numeri ma due magiche parole come fuori e dentro. La geografia ha sempre considerato la Gran Bretagna parte del Vecchio continente, anche quando GB non era nell'Unione; ha continuato a considerarla dentro a maggior ragione quando è entrata nell'Unione; continuerà a considerarla dentro ora che i cittadini, in un referendum consultivo, hanno chiesto di uscire".
Secondo Panerai non sempre simili "shock" sono negativi e non bisogna sottovalutare il fatto che la stragrande maggioranza dei giovani britannici e paesi come la Scozie e l'Irlanda del Nord si sono espressi a favore dell'Europa: "chi non ha la nostalgia dell'impero e ha toccato con mano la possibilità di vivere l'Erasmus e poter circolare liberamente in tutto il Vecchio continente, sa che il mondo è globale e sa che far parte di un continente, prima realtà economica del mondo, è un vantaggio e non uno svantaggio".
Non bisogna dimenticare, infatti, che l'abbandono inglese ha a che fare non soltanto con problemi economici: "Occorre quindi ripensare a che cosa deve essere l'Unione europea. Occorre capire che prima di tutto deve avanzare la politica e il Parlamento deve avere i poteri che i parlamenti hanno in tutti gli Stati. Le leggi devono nascere in Parlamento e non essere direttive per lo più decise dai superburocrati di Bruxelles. Dal voto di uscita della Gran Bretagna i governi, i parlamenti e i partiti degli Stati devono cogliere quel messaggio che viene dai giovani e dalle zone meno ricche. Ma se anche shock non è, la reazione deve essere fulminea. E realistica. Fissando obiettivi politici realistici, per guidare e controllare democraticamente le istituzioni finanziarie, monetarie ed economiche che non possono sostituire quelle politiche, delle quali il popolo è il designatore".