"Malimortaccitua. Detto con affetto, ci mancherebbe. L’esclamazione
che chiama in causa l’onorabilità degli affetti venuti a mancare
all’interlocutore a Roma è sempre stata più una manifestazione di ammirazione e
affetto che un vero insulto. Non puoi davvero sostenere di essere benvoluto da
qualcuno all’interno del grande raccordo anulare se questi non ti ha mai
rivolto questa pernacchia verbale dalla metrica giottesca, che prevede nella
sua versione a denominazione d’origine protetta la seconda «a» allungata,
strascicata, come si dice a Roma. Nell’edizione integrale o nei suoi bignamini
mortaccitua, taccitua, citua e l’ellittico e sgomento malimorté, che quasi
meriterebbe di concludere una versione alla pajata del motto dei rivoluzionari
francesi: liberté, égalité, malimorté. Non c’è nulla come questo esasillabo
cinematografico a riassumere la metamorfosi dolente di Roma (l’unica città al
mondo – crediamo – in cui esiste un ristorante, La Parolaccia, dove l’insulto è
compreso nel prezzo: gli avventori vanno a rimpinzarsi e a farsi riempire di
contumelie dai camerieri- attori, i turisti vanno in visibilio) e della
romanità. Dove la gravità esibita faceva parte del folklore locale, dove
l’invettiva e l’insulto scioglievano qualsiasi conflitto in un cinismo bonario,
ora invece è solo cattiveria, aggressione, un Romanzo Triviale. Ora il romano
incattivito se ti insulta perché non sei scattato al verde lo fa sul serio. E i
mortacci sono zombie vernacolari e scurrili, in fila sul Muro Torto".
Andrea Cuomo, Il Giornale del 13/1/2016