Articolo di Fausto Brambilla (Corriere della Sera del 14 agosto) sulla sua esperienza di padre in ansia per le notti fuori casa del figlio.
Dedicato ai tanti genitori e alle loro notti insonni in attesa che il figlio adolescente ritorni a casa. Dedicato alle coppie che, per tanti anni, hanno vissuto l'esperienza di arrovellarsi nel letto guardando l'orologio. Dedicato, inoltre, a quei genitori che, per il momento, fanno sonni tranquilli ma che si appresteranno, da qui a breve, a "consentire" ai loro pargoli di ritornare a casa alle ore piccole. Anche questi ultimi, prima o poi, spereranno in un drone-spia."È l’una di notte. Notte d’estate, notte di san Lorenzo. Più di ogni altra lunga e silenziosa, quasi opprimente. Non riesco a dormire, ma non è per il caldo. A quello ci si abitua, si impara a sopportare. È che questa volta il piccolo (16 anni) alle sei del pomeriggio è riemerso dalle sue cuffie — come un paguro che sbuca pigramente dal fondale sabbioso per andare a caccia di tutto — annunciato dalla scia di profumo, lo stesso di quel docciaschiuma come dopo le partite di calcio da piccolo. Ma ora è diverso. Niente più gol da rivivere, poche parole. Solo quattro, dodici lettere. Un postulato. «Ciao pa’, io esco».
Anche
lui come il paguro in cerca di cibo, quello della vita. Hamburger e sogni,
pizza e stelle cadenti, birra (e qui corrono i primi brividi) ed emozioni. È la
notte farcita di un adolescente, di tutti gli adolescenti. È la notte infinita
di un genitore, di tutti i genitori.
La sua
è l’estate dei desideri che non dimenticherà. Mai più. Destinata negli anni a
diventare memoria e poi nostalgia. Tutti ne abbiamo una, quella, unica,
irripetibile. Via dalla tana, perché la vita (ora) chiama altrove. Questo altrove
per l’occasione è la casa di un compagno di classe, una decina di chilometri in
direzione nord, due autobus e uno spazio che mi riporta a Zenone e al suo
paradosso: anche volendo, non potrei mai raggiungerlo.
«Allora,
mi raccomando… usa la testa». Lui — mi ripeto — sa che cosa intendo: onora la
tua intelligenza, gli dico spesso, che declinato si traduce in «non salire in
motorino con gli altri», «non bere» e — in particolare — «non accettare da bere
se non conosci chi te lo offre». «E lontano dalle pasticche». È l’incubo più
grande. Il buio in fondo alla notte. Lo spettro che agita, il tarlo che toglie
il sonno.
«Sì,
sì… ah, scusa: ho il telefonino al quindici per cento di carica ma mi
arrangio».
«Ma
come, dormi da un tuo amico e ci vai con il cellulare già quasi scarico? E se
ho bisogno di sentirti?».
«Tranquillo,
nel caso ti scrivo con il cell di qualcuno…».
Già,
tranquillo. Tranquillo? Facile per lui. E poi «nel caso», il «cell»,
«qualcuno»… Io non voglio «qualcuno», tanto meno il suo «cell». Voglio solo che
arrivi mattino in un baleno, sentire suonare il citofono. Alt, fermo. Un po’ mi
imbarazza questa mia ansia. Mi do del bacchettone (io che alla sua età… io che
Giovanardi…, io che a parole…). Ma dura solo un attimo, al diavolo il
politicamente corretto.
«Mandami
almeno un messaggio con WhatsApp…».
L’ha
fatto, a mezzanotte. «Qui tutto ok, a domani mattina». Lo rileggo e cerco di
misurare lo spazio che ancora mi separa dal «qui tutto ok» al «domani mattina».
Guardo se è ancora online. Niente. Spero che siano a casa del compagno di
classe; che siano tutti lì, assieme, a ridere e a inventare il futuro divorando
il presente. Spero che non siano in giro a inseguire le stelle o in qualche
locale a perdersi nell’oblio. Allontano dalla mente gli ultimi fatti di
cronaca. Già, ma come si fa? Erano tutti bravi ragazzi, e i genitori si
fidavano di loro. Come me, com’è giusto che sia. Già, ma come si fa…
Allora
penso a un drone. Sì, un drone capace di seguire gli spostamenti di quei
ragazzini e di darmene conto. Geolocalizzazione, roba da «situation room», da
unità di crisi. Sapere in ogni istante dove sono e che cosa fanno; il Grande
Fratello che diventa padre, il regista-demiurgo alla Truman Show. Poi mi fermo,
questa volta me lo impongo. Calma. Stop. Ora esageri. E il drone svanisce, come
nelle nuvolette dei fumetti. Guardo l’orologio, le due passate. Mi dico che è
ora di dormire, giusto qualche pagina di libro. E fu notte e fu mattino.
P.S.
Il piccolo è tornato a casa alle 11. «Ciao, sì sì, tutto bene. Ci siamo divertiti,
poi vi racconto. Ora sono stanco». E via, nella sua stanza. Il paguro si
rimette sotto la sabbia, sazio, con la nuova conchiglia carica di palpiti e di
emozioni. C’è ancora tanto da cacciare, il mare è grande.
Canzone del giorno: Spy In The House Of Love (1997) - Steve Winwood
Clicca e ascolta: Spy....