Canzone del giorno: New Year's Eve (2011) - Tom Waits
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L’autrice dell’articolo focalizza l’attenzione
su alcuni “segni positivi” ma anche su tante “incertezze” e sui partiti
politici delegittimati: “Anche all’ultimo
giorno arrivano altre tasse, altre ingiunzioni: «L'anno vecchio è finito ormai
/ ma qualcosa ancora qui non va», cantava Lucio Dalla” (…). Decine e
decine di amministratori e politici sono finiti in prigione o sotto inchiesta,
accusati d'aver depredato lo Stato, ricattato gli imprenditori e derubato i
cittadini per arricchire i propri partiti o per fare personalmente una bella
vita (…). Eravamo benestanti in una delle prime potenze industriali
occidentali… ci siamo ritrovati disoccupati, impoveriti, schiacciati dalle
tasse in un'economia di guerra… squassati da una crisi abissale”.
I tanti mali endemici del nostro paese sono
elencati: “il logoramento del sistema
partitico fra immobilismo, inettitudine e arroganza, i furti dei partiti a
danno dello Stato e della collettività, l'intolleranza dei politici verso il
potere della magistratura e dei media, l'enormità del debito pubblico, l'usura
del rapporto governanti-governati, eletti-elettori”.
Come darle torto?
Un piccolissimo particolare: l’editoriale è stato
scritto e pubblicato vent’anni fa.
Il 31 dicembre del 1992 Lietta Tornabuoni, una
delle firme più prestigiose del giornalismo italiano, scriveva delle parole
che, anche se in un contesto diverso, sono ancor oggi di sbalorditiva
attualità.
Corsi e ricorsi.
Per il resto si può soltanto augurare un buon anno
a tutti e continuare a canticchiare: “L’anno che sta arrivando / fra un anno passerà / io mi sto preparando / è questa la novità".
P.S.: di seguito pubblichiamo l’intero articolo,
che invitiamo a leggere come riflessione di fine anno.
Lietta Tornabuoni, L'anno che verrà (31 dicembre 1992) - LA STAMPA
Anche all’ultimo giorno arrivano altre tasse,
altre ingiunzioni: «L'anno vecchio è finito ormai / ma qualcosa ancora qui non
va», cantava Lucio Dalla. Dicono che in Italia il 1992 sia stato un anno di
svolta, imprevisto e impensabile, l'anno di ogni novità: dal 1992 tutto è
cambiato, dicono, e nulla potrà più essere come prima. Ma i segni positivi di
novità coincidono spesso con segni di senilità morbosa: e ci lasciano, al
termine di quest'anno diverso, nella palude del dubbio, dell'incertezza. Certo,
i segni di novità presunta sono stati tanti. Il 5 aprile gli elettori hanno
espresso con chiarezza inequivocabile il rifiuto del sistema partitico al
potere. Una formazione politica nuova, la Lega, ha acquisito consistenza e
forza dal voto di protesta. I partiti tradizionali hanno subito nell'opinione
pubblica una radicale delegittimazione. I due leader classici, l'astuto
Andreotti e il vigoroso Craxi, sino a ieri emblemi di egemonia inattaccabile e
di glamour alternativo, hanno avuto un'eclissi repentina. E' caduta di colpo
l'intangibilità dei potenti: decine e decine di amministratori e politici sono
finiti in prigione o sotto inchiesta, accusati d'aver depredato lo Stato,
ricattato gli imprenditori e derubato i cittadini per arricchire i propri
partiti o per fare personalmente una bella vita. All'improvviso è diventata
ufficiale la situazione economica dei Paese degli italiani: nel 1991 eravamo
benestanti in una delle prime potenze industriali occidentali; ne 1992 ci siamo
ritrovati disoccupati, impoveriti, schiacciati dalle tasse in un'economia di
guerra, gravati ciascuno di 73 milioni di debito pubblico, allineati come a
Mosca nelle code dell'assurdità burocratica (in fila durante ore per denunciare
una zanna d'elefante, conoscere la classificazione d'un appartamento, comprare
una marca da bollo, fumare una sigaretta), squassati da una crisi abissale. S'è
aggravata, nel ceto politico colpito, quell'ostilità verso i magistrati che ha
subito trasformato il giudice Di Pietro in un eroe popolare. Ma tutto questo è
soltanto venuto alla luce, emerso, esploso. Erano già vecchi, noti e criticati
(molto vecchi, molto noti, molto criticati) il logoramento del sistema
partitico fra immobilismo, inettitudine e arroganza, i furti dei partiti a
danno dello Stato e della collettività, l'intolleranza dei politici verso il
potere della magistratura e dei media, l'enormità del debito pubblico, l'usura
del rapporto governanti-governati, eletti-elettori. Nel 1992, mentre altre
vecchie cose continuavano come prima e come prima seguitavano con Lima, Falcone
e Borsellino i massacri di Sicilia, o si moltiplicavano le solite ambiguità dei
servizi segreti o venivano riscosse altre tangenti a dispetto delle inchieste
in corso, molto è arrivato finalmente al punto di rottura: provocando, con
l'impressione che manchi un gruppo governante alternativo, smarrimento, un
disordine malato, un verminaio incontrollabile, tante paure, qualche speranza.
E adesso? Soltanto il 1993 potrà dire quanto i segni del '92 rappresentino una
positiva novità. Non ci sarà stata novità se il ceto politico tradizionale
considererà il 1992 appena un orribile anno di passaggio, una parentesi oscura,
un incidente risolvibile col cambiare o ignorare la legge, col tirare a campare
recitando l'autoriforma. Non ci sarà stata novità se la crisi economica si
risolverà tutta nella neo-povertà della gente tartassata; né se si tenterà di
ammutolire magistrati e media; né se l'inchiesta sulle mani sporche di
Tangentopoli finirà in nulla, in un condono generale o in assoluzioni
mascherate; né se contro la mafia seguiteranno chiassose azioni dimostrative e
silenziosi patteggiamenti inconfessabili. Tra il vecchio che muore e il nuovo
che stenta a nascere, il 1992 si lascia ore torbide, ansie, pericolo, l'augurio
che le cose vadano meglio: altrimenti, cantava Lucio Dalla, «l'anno che sta
arrivando / tra un anno passerà / io mi sto preparando/è questa la novità».