La lettera con cui Donald Trump comunica all’Unione europea l’imposizione di dazi al 30%, a partire dal 1° agosto, sembra opera di un ragazzino delle scuole medie, non molto versato per la scrittura. Leggetela, vale la pena. Concetti ripetuti, vocabolario ridotto, blandizie e velate minacce. Se aggiungiamo che il mittente è appena comparso sull’account X della Casa Bianca vestito da Superman («Simbolo di supremazia!») occorre decidere: dobbiamo ridere o preoccuparci? Temo dobbiamo preoccuparci. Quando ho detto a «Otto e mezzo» (La7) che Donald Trump avrebbe bisogno di un buon psicoterapeuta, sono stato insultato sui social. Vorrei che i miei critici mi spiegassero dove sbaglio. Quello del Presidente americano vi sembra un atteggiamento normale? E non, invece, il comportamento erratico di un anziano collerico, narcisista e impulsivo? Non è mancanza di rispetto: è sincera preoccupazione per la strada imboccata da un Paese amico. Inutile elencare le decisioni strane o aggressive prese dall’amministrazione Trump in sei mesi. Non è solo la sostanza, ma anche la forma, a sconcertare. I rapporti delle nazioni - anche nei periodi più complicati - richiedono ritualità e prevedibilità. Altrimenti il sistema internazionale non regge, e le conseguenze rischiano di essere devastanti. È possibile - addirittura probabile - che sui dazi alla Ue Donald Trump cambi idea. Chiedere molto in modo aggressivo, poi ridurre le pretese, è la sua tattica negoziale. Ma il problema rimane. Trump finge di non capire che il disavanzo commerciale è frutto di una scelta: gli USA importano le merci che non possono o non vogliono produrre. Anche perché producono altro, assai prezioso: in campo aerospaziale, militare, biomedico, farmaceutico. Per non parlare dei servizi digitali delle Big Tech, che Trump - chissà perché - pretende siano esentasse in tutto il mondo. Ma qui siamo entrati nella sostanza della questione. Il problema però, come dicevamo, riguarda anche la forma. In questa e altre vicende, Donald Trump sembra godere nel provocare e sorprendere la controparte. Ma così si comportano i giocatori d’azzardo, non i presidenti. D’accordo che il mondo è diventato un casino, ma a tutto c’è un limite.
Beppe Severgnini, Corriere della Sera (12/7/2025)
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