Vi piace la verità? E allora avete sbagliato secolo. Perché se aprite Truth, il social chiamato «Verità» che appartiene al presidente degli Stati Uniti, sul profilo del presidente degli Stati Uniti ci trovate Trump Gaza, un video musicale generato dall’intelligenza artificiale che parte da quello che oggi è la Striscia - dopo quindici mesi di bombardamenti israeliani e 48mila morti palestinesi accertati - e arriva a quella che dovrebbe essere la «Riviera di Gaza» promessa da Donald Trump in una delle innumerevoli iperboli di questi primi, concitati 57 giorni del suo secondo mandato. Nella clip il presente è un 2025 di macerie, soldati col Kalashnikov e bambini che piangono ma, dopo una breve parentesi di cantieri, ecco finalmente apparire il «What’s next» presidenziale: un lungomare degno di Miami che finisce nella riproposizione del Burj al-Arab, il grattacielo a vela di Dubai, una mainstreet di mercati e palmizi dove i bambini finalmente corrono a giocare con palloncini a forma del faccione di «The Donald». In mezzo, quadretti esotici che annoverano danzatrici del ventre barbute (!), un’enorme statua dorata dello stesso Trump che avrebbe fatto arrossire persino Saddam, tizi che ballano mentre piovono dollari ed Elon Musk in persona che fa la scarpetta in un piatto di hummus. In sottofondo, un cafonissimo pezzo dance vagamente orientaleggiante commenta: «Donald Trump has set you free/ Bringing the light for all to see/ No more troubles, no more fear/ Trump Gaza is finally here». Ed eccolo Trump che prima balla con un’odalisca da Mille e una notte e, alla fine, si rilassa con un drink a bordo piscina in compagnia del premier israeliano Benjamin Netanyahu. L’uomo che, in risposta al 7 ottobre, per punire Hamas ha raso al suolo la Striscia. Se fossimo in un altro secolo, di fronte a queste immagini ci sarebbe da indignarsi, scomodare diplomazie e attivare proteste formali. Perché il video in questione, su un tema così divisivo come il conflitto tra Israele e Palestina, ha la rara capacità di offendere tutti allo stesso modo, vittime e carnefici. Perché, rapportata a una tragedia umana senza fine, è profondamente insultante quest’estetica dello sfarzo, questo culto kitsch della personalità che accomuna The Donald al Divino Elon. Perché la questione mediorientale è un problema maledettamente serio e nessuno può nemmeno azzardare che si risolva nel sogno senile di un palazzinaro Wasp. Ma, parafrasando Ennio Flaiano, quando si parla della comunicazione trumpiana la faccenda è grave ma non seria. Perché Trump non ha niente di serio e sembra quasi compiacersene. Ma non per questo quello che fa e che dice è meno grave. Da quando è tornato alla Casa Bianca, ci sta «trollando» tutti: le spara a raffica su ogni fronte, alternando misure economiche antistoriche a disegni geopolitici improponibili (le mire su Panama e la Groenlandia, il flirt con Putin, la delegittimazione di Zelensky) e condendo il tutto con abbondante dose di fake news. Noi ragazzi del secolo scorso osserviamo increduli e affastelliamo ipotesi: le spara grosse per trattare da una posizione di vantaggio? Mette in crisi le alleanze per costringere gli alleati a spendere di più? Annuncia dazi per convincerci a comprare debito pubblico americano? Tutto può essere. La verità la sa soltanto lui. Il problema è che la sua verità coincide col social network di cui è proprietario. Un problema tutto nostro. E forse male non faremmo, ancora una volta, a ripartire dalla lezione di Mario Draghi: «Do something». Facciamo qualcosa.
Francesco Prisco, Il Sole 24 Ore (26/2/2025)
Canzone del giorno: Magalomania (1975) - Black Sabbath
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