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"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

lunedì 24 febbraio 2025

Le speranze di Kiev

Ancora un altro piccolo passo e il 24 febbraio 2022 sarà ricordato nei libri di storia come il giorno in cui l’Ucraina invase la Russia e i carri armati mandati da Kiev si spinsero fino alle porte di Mosca. A questo punto potrebbe succedere. Senza alcun pudore, anzi con un incredibile capovolgimento di quel che realmente è accaduto, come ha giustamente osservato, su queste pagine, Carlo Verdelli. In riferimento, Verdelli, a quella prima incredibile affermazione di Donald Trump: «Zelensky non avrebbe mai dovuto iniziare questa guerra». Nei prossimi giorni il Presidente degli Stati Uniti potrebbe aggiungere che il 1° settembre del 1939 i polacchi aggredirono la Germania e che il 7 dicembre del 1941 gli americani affondarono la flotta giapponese. Si è aggiunta poi, da parte di Trump (e di Elon Musk), una spudorata volontà di distruggere la figura di Zelensky. Con espressioni che lasciano allibiti. «Zelensky non ha in mano carte per poter negoziare». «Non serve che il presidente ucraino sieda al tavolo delle trattative». «Se fosse un leader amato indirebbe elezioni». «Non lo fa perché sa che perderebbe in maniera schiacciante nonostante abbia il controllo di tutti i media locali». «Il suo popolo lo disprezza». Lo si deve, perciò, «ignorare» ed è altresì doveroso «negoziare la pace indipendentemente dalla sua disgustosa e massiccia macchina per la corruzione che si nutre dei cadaveri dei suoi soldati». Parole ad ogni evidenza incredibili e gravemente oltraggiose. Accompagnate oltretutto da complimenti perfino imbarazzanti nei confronti di Vladimir Putin. […] Accecato da una visione rancorosa e mercantile della politica, il nuovo presidente degli Stati Uniti non ha compreso il valore simbolico che per gran parte del mondo occidentale — non solo l’Europa, perciò — ha avuto in questi tre anni la resistenza ucraina. Sarebbe del tutto improprio paragonarla al conflitto che insanguinò la penisola iberica tra il 1936 e il 1939. Sono cose diverse, con forze in campo diverse e diversissime per un’infinità di particolari. Ma la guerra civile spagnola (che tra l’altro si concluse con la sconfitta di chi si batteva dalla parte «giusta») ha in comune con quella ucraina, appunto, l’altissimo valore simbolico. Checché ne scrivano i simpatizzanti per la causa putiniana, la «vittoria» consisteva per Zelensky e per coloro che (come molti di noi) hanno creduto e ancora credono in lui nel respingere o contenere al massimo l’aggressione subita. Tutto qui. E la «sconfitta» — che ancora oggi non diamo affatto per scontata — è stata sempre tenuta nel conto di un esito possibile. Nella certezza, però, che, per il solo fatto di non essere fuggito al momento dell’invasione e di aver combattuto per una giusta causa, il suo nome è e resterà nelle coscienze del mondo a cui apparteniamo in una posizione più nobile di quella che spetterà a chi lo ha aggredito. O di chi lo ha cinicamente abbandonato al suo destino.

Paolo Mieli, Corriere della Sera (22/2/2024)

Canzone del giorno: Silhouette In a Sunset (2024) - Elles Bailley
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