Quanto rilevante è quantitativamente il superbonus? 200 miliardi di euro sono una bella cifra. Mettete 200 miliardi di monete da un euro una vicina all’altra e coprite 46.000 km, più della lunghezza dell’Equatore. Scherzi a parte, 200 miliardi sono il costo di quasi tre anni di pubblica istruzione (scuole elementari, medie, superiori e università) o di oltre tre anni di investimenti fissi della pubblica amministrazione. Una parte del costo ha già impattato sui conti pubblici riducendo le entrate. Da qui al 2028 si perderanno altri 30 miliardi di entrate l’anno. Senza queste entrate, il rapporto tra debito pubblico e Pil, che sarebbe altrimenti sceso seppure solo di poco, aumenterà raggiungendo un picco superiore al 140% nel 2028. Questo aumento non violerà le regole europee sui conti pubblici perché queste consentono un aumento del debito finché un Paese è sottoposto a “procedura di deficit eccessivo”, come accadrà a noi e ad altri Paesi con deficit superiore al 3% del Pil. Ma complicherà comunque la gestione del nostro debito, soprattutto in caso di shock economici inattesi. Ho già espresso in passato la mia valutazione del superbonus: un’esagerazione in termini di generosità del provvedimento, difficoltà di prevederne l’effetto, eccessiva pressione generata su un singolo settore dell’economia e implicazioni per altri settori della spesa pubblica che sono restati privi delle necessarie risorse. Non mi ripeto. Aggiungo solo una previsione: il superbonus entrerà nei libri di finanza pubblica come esempio di misura con un buon fine, la cui realizzazione è stata disastrosa.
Carlo Cottarelli, L’Espresso (24/5/2024)
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