Continuiamo a dibattere sulla bassa fecondità ancora in diminuzione. Siamo arrivati a 379 mila nati nel 2023,1,2 figli per donna. Il calo è ininterrotto dal 2008. Quindici annidi diminuzione. Non solo. L'Italia è andata sotto il livello di sostituzione e cioè 2,1 figli per donna nel 1977, anno in cui si trovava in una situazione simile alla Francia. Ma la Francia si è attrezzata e ha messo in campo politiche per creare un clima sociale favorevole alla maternità e alla paternità e ora si ritrova con 7 milioni di giovani in più. L'Italia è andata avanti, come se niente fosse, senza curarsi di un problema vitale che via via è andato aggravandosi e cioè un numero desiderato di figli superiore a quello che uomini e donne riuscivano ad avere. Questo gap avrebbe dovuto rappresentare un campanello di allarme per le politiche. Ci saremmo dovuti attrezzare, per eliminare gli ostacoli che rendevano così difficile per molti realizzare il desiderio di maternità o paternità. E invece no. Ci siamo trasformati in un Paese a permanente bassa fecondità, per inazione. Responsabilità di una non adeguata narrazione della maternità, come dice la presidente del Consiglio? No. Perché il desiderio di maternità c'è e si è espresso in tutti questi anni, ma non è riuscito a tradursi in realtà. Per responsabilità di chi non desidera avere figli? Neanche, dalle ricerche risulta essere una parte troppo piccola di uomini e donne per aver inciso a tal punto. È inutile cercare i "colpevoli" della bassa natalità, e soprattutto ideologizzare il tema. Si fanno pochi figli, perché non si è agito politicamente per creare un clima sociale favorevole alla maternità e alla paternità. E lo si continua a fare nonostante le tante parole della premier e i pochissimi fatti. Perché non si sono attivati gli strumenti per sviluppare l'indipendenza economica dei giovani. Perché le madri sono costrette a pagare un prezzo troppo alto perla maternità. Lasciano il lavoro nel 20% dei casi alla nascita del figlio. Sono costrette a prendere part time, rinunciano a incarichi e sono frenate nel percorso di carriera a causa del figlio. Si trovano troppo sole di fronte alla maternità, soprattutto se non hanno nonni vicini e disponibili, perché i servizi sono scarsi e poco flessibili, sia per i bimbi, sia per gli anziani. Per loro è difficile dover affrontare la propria condizione, senza adeguato supporto da parte del partner. Crisi economica, incertezza del futuro, difficoltà di conciliazione dei tempi di vita e di condivisione delle responsabilità genitoriali, scarsa flessibilità dell'organizzazione del lavoro, mancanza di strumenti di autonomizzazione dei giovani si sono combinati insieme e hanno contribuito alla bassa fecondità permanente, che a sua volta ha innescato un processo a catena: meno nati significa a distanza di 20-30 anni meno donne in età riproduttiva. Pensate dal 2008 le nascite si sono ridotte di un terzo, e più di due terzi del calo della fecondità è dovuto alla diminuzione del numero di donne in età riproduttiva, causate dall'abbassamento della fecondità negli anni ancora precedenti. L'analisi del calo della fecondità non è semplificabile, perché il fenomeno è assai complesso, e non sono semplificabili neanche le politiche. Non basta un bonus qua e uno là, non basta un mese di congedo parentale all'80% del salario invece che al 30%, né un secondo mese solo per i nati nell'ultimo anno. Non serve la decontribuzione per le donne solo a tempo indeterminato con tre o più figli. E le più vulnerabili? E quelle che non riescono ad averne neanche uno? Ci vuole un approccio globale. Congedo parentale all'80% per tutti i mesi, congedo di paternità per i padri, pari a quello per le madri, per coinvolgerli di più nel lavoro familiare alla nascita del figlio, nidi per tutti i bimbi, assistenza socio sanitaria degli anziani basata sulla domiciliarità, con un welfare di prossimità, per alleggerire il carico di lavoro di cura sulle spalle delle donne. Lavoro per i giovani e facilitazione per l'accesso ad abitazioni indipendenti dalla famiglia di origine. Una vera rivoluzione per un Paese che non ha mai avuto queste priorità. Basta parole e approcci ideologici.
Linda Laura Sabbadini, la Repubblica (16/04/2024)
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