«Il 15 agosto per noi è un po’ come per voi occidentali l’11 settembre. Una data di quelle che ti ricordi cosa stavi facendo nel momento in cui è arrivata la notizia che i talebani avevano preso Kabul. È il giorno in cui le nostre vite sono finite», mormora Rabia, un’attivista che da 12 mesi se ne sta nascosta cambiando casa quando serve per paura che i talebani la stiano cercando. È trascorso un anno da quando i miliziani islamisti hanno preso il potere a Kabul, dopo un disastroso accordo siglato con loro dagli americani a Doha, firmato nel 2020. Il 15 agosto segna la presa di Kabul, il finale del ritiro di quello che era rimasto dei contingenti stranieri, e la caotica evacuazione di 200 mila afghani, parte di quella società civile che oggi non avrebbe spazio in un Paese abbandonato all’estremismo. L’evacuazione durò 11 giorni, fino a quando un attentato targato Isis colpì l’aeroporto di Kabul e pose fine ad ogni ulteriore intervento internazionale nel Paese degli aquiloni. In quel momento è come se qualcosa di oscuro fosse sceso sull’Afghanistan cancellando, nonostante le promesse talebane, tutti i diritti delle donne in nome della loro sicurezza e di leggi decise da loro. Il ministero delle Pari Opportunità è stato chiuso e sostituito da quello “Contro il vizio eper la Virtù”, con pattuglie di talebani che girano per riprendere le donne che non si vestono come si deve. Chiusi i centri antiviolenza, in un Paese dove il 70% delle donne subisce violenza domestica, le vittime sono state rimandate a casa dei loro carnefici. Hanno aperto le prigioni e liberato militanti e assassini, alcuni dei quali hanno ripreso impunemente a picchiare le mogli. Poi è stata bandita la musica, l’arte, sono stati cancellati i murales che parlavano di emancipazione. […] Dopo l’arrivo dei talebani, più di 200 organi di stampa sono stati chiusi, lasciando poco spazio alla libertà di espressione. Le manifestazioni sono state soppresse, e non mancano casi in cui i talebani hanno fatto visita ai familiari di persone scappate dal paese, arrestandole e considerandole traditori. Amnesty International ha verificato uccisioni di persone legate al governo o all’esercito precedente. «Bugie, se è vero vogliamo i nomi, così possiamo indagare e nel casoprendere provvedimenti contro chi ha infranto l’amnistia», ci dice un portavoce talebano del ministero degli Esteri. Ma fare nomi in Afghanistan è diventato un lusso, come il cibo, la benzina, il lavoro e l’istruzione. «Perché abbiamo paura, tutti abbiamo paura — conclude Rabia — E nella paura non esiste pace».Barbara Schiavulli, la Repubblica (14/8/2022)
Canzone del giorno: Outside of This Town (2019) - Christone "Kingfish" Ingram