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"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

sabato 9 luglio 2022

Fretta

Un anno e mezzo fa l'Italia si è impegnata a spendere 220 miliardi del Pnrr (di cui circa due terzi presi a prestito) entro il 2027. Il governo ha rispettato le 45 scadenze per il primo semestre di quest'anno, sbloccando 24 miliardi, di cui la metà sovvenzioni a fondo perduto. È un fatto positivo di cui va dato atto al governo, ma non basta per assicurarsi che i soldi vengano spesi bene in futuro. Ci sono tre motivi per nutrire preoccupazioni al riguardo. Manca ancora un monitoraggio pubblico e sistematico dell'esecuzione del piano. Non c'è traccia di una banca dati sulle gare effettivamente avviate, sulle aggiudicazioni, sulle opere di cui è stata iniziata l'attuazione, sui finanziamenti sin qui elargiti, su come procede il programma di assunzione di personale che dovrebbe contribuire all'abbattimento dell'arretrato nella riforma della giustizia civile, né sul numero e la qualità delle assunzioni nella Pubblica Amministrazione. Secondo, in certi casi si fatica a reperire il personale necessario all'attuazione. L'Europa ci ha chiesto di destinare almeno il 20 per cento dei fondi alla transizione digitale e il 37 per cento alla transizione ecologica (abbiamo già espresso in passato le nostre perplessità a riguardo, ma questo è un altro discorso). Questo ci ha portato a concentrare le risorse su pochi settori: edilizia, elettronica e ottica assorbono quasi la metà dei fondi, e l'edilizia in particolare il 35 per cento. Quest'ultimo settore, dove già oggi si lamentano forti carenze di personale, dovrebbe assumere quasi 100.000 nuovi lavoratori; sono quindi necessari interventi massicci sulla formazione e politiche attive del lavoro. […] Il terzo motivo di preoccupazione è la fretta nel progettare gli interventi e nello spendere i fondi, e il rischio conseguente che non ci sia una adeguata capacità di spenderli bene. Questo è un problema alla radice, nelle direttive della Commissione. Nell'ubriacatura generale di un anno e mezzo fa, pochi sembrano essersi chiesti se avevamo le capacità di progettare in pochi mesi e di spendere in pochi anni risorse così ingenti, soprattutto a livello locale dove si concentra gran parte dell'azione. […] Ma la fretta non è solo un problema di enti locali. Per esempio, come docenti universitari siamo testimoni di come si stanno attuando progetti nell'ambito dei cosiddetti partenariati tra atenei e aziende. In alcuni casi di cui abbiamo notizia il messaggio è stato "fate in fretta, mettete lavori che avete già fatto o che avreste fatto in ogni caso, e semplicemente date un titolo che abbia una qualche attinenza con il progetto". Chi controllerà? Chi obietterà mai? Eppure questa è la definizione di "spreco": un compenso per un lavoro che si farebbe in ogni caso, o che addirittura è già stato fatto, oltre che molto spesso inutile (chiedere alle aziende partner). Il Pnrr potrà davvero favorire la ripresa della nostra economia se riuscirà a cambiare il modo con cui si selezionano, progettano e finanziano gli investimenti pubblici in Italia. Il governo ha in mano una leva potente per spingere i ministeri e gli enti locali a fare un salto di qualità: escludere dall'assegnazione dei fondi enti ed amministrazioni che non sono in grado di gestirli bene. Ma se l'attenzione del Parlamento e dell'esecutivo è solo sullo spendere in fretta, questa leva diventa un'arma spuntata. Cambiare i processi con cui si spendono i soldi pubblici è parte integrante del Pnrr. ll tempo speso nel favorire questo cambiamento non è un ritardo nell'attuazione del piano, ma è un passo concreto (e non di carta) verso la sua attuazione. Anche l'Europa sa che spendere male è peggio di non spendere.

Tito Boeri e Roberto Perotti, La Repubblica (7/7/2022)

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