Se apparentemente, nel confronto fra i due approcci occidentali alla crisi ucraina - negoziare subito o attendere che Kiev si riprenda parte dei territori invasi -, la posizione di Macron sembrava avere la meglio, dopo il G7 di ieri lo scenario pare cambiato. Premere su Kiev affinché inizi a tutti i costi una trattativa alla fine sarebbe un errore, perché senza un cessate il fuoco la guerra continuerebbe con violenza moltiplicata. E, d'altra parte, nessuno può imporre al presidente Zelensky e ai suoi generali di chiedere all'invasore quanto ha deciso di portarsi via e a quanto rinunciare di ciò che non è suo. Emmanuel Macron, nelle ultime settimane, pressato da una campagna elettorale che lo ha azzoppato, aveva sostenuto che i tempi erano maturi perché Kiev si sedesse davanti a un tavolo per trattare col suo nemico russo e concludere un accordo. La posizione degli inglesi, al contrario, resta quella che fu di Winston Churchill dal 1940, quando il suo predecessore Neville Chamberlain fu costretto a dimettersi dopo «aver barattato la pace con l'onore e aver perso sia la pace che l'onore». Si trattava allora della guerra contro Hitler, il quale voleva riportarsi a casa tutti i gruppi tedescofoni che la pace di Versailles del 1919 aveva separato dalla Germania. Erano i suoi Donbass, le sue enclave, le sue Odessa e Kaliningrad e tutti i pacifisti di quel tempo invadevano le strade di Londra, Parigi e New York invocando la fine del conflitto e - per l'amor di dio! - che nessuno ostacolassecon le armi i nazisti. Sappiamo come finì. Oggi è diverso, ma Boris Johnson - cultore di Churchill - insiste nel mantenere fermo un punto sul quale nel 1945 tutti gli Stati sembravano d'accordo e cioè che non si consentirà più ad una nazione di sfondare la porta dei vicini per uccidere e rubare quel che si vuole. L'Europa continentale - la Francia e più ancora la Germania socialista di Scholz - sembra meno intransigente. Quanto all'Italia, è un dato di fatto che sia proprio Mario Draghi a mantenere la linea più vicina a quella degli alleati anglofoni. Qual è il punto di un'apparente convergenza tra Johnson e Macron? Le armi. Johnson non vuole che Putin esca vincitore e passi all'incasso. Ma, per impedirlo, non c'è altra strada che consegnare a Kiev nuove armi finché gli ucraini avranno voglia di combattere, perché è già stabilito che non un soldato dei Paesi dell'Alleanza Atlantica prenderebbe il loro posto. Ecco perché, contrariamente a quanto sembrava fino a ieri, per ora prevale - fra piccoli e grandi strappi - la linea intransigente che accomuna Londra a Washington. Che sono anche gli unici veri fornitori di materiale bellico a Kiev, cui l'Europa contribuisce per un misero due per cento e l'Italia per briciole. La guerra (delle parole) continua.
Paolo Guzzanti, Il Giornale (27/6/2022)
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