nuovigiorni

"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

giovedì 14 aprile 2022

Modric

Se il paradosso è ammesso, niente meglio dell'opera di un grande artista catalano descrive cosa succede al tempo nello stadio Bernabeu quando le circostanze lo richiedono. "La persistenza della memoria", il più celebre dei quadri di Salvador Dalì, è universalmente noto come quello degli "orologi che si sciolgono". Ecco. Quando il Real Madrid ne ha bisogno il tempo al Bernabeu si dilata gommoso, e per gli avversari la sponda del fischio finale pare allontanarsi sempre più come in un film onirico. Dentro quella melassa di minuti che non passano e di secondi che rallentano, le grandi stelle rimaste del Real - ce ne sono meno di una volta, ma fino alla semifinale evidentemente bastano - organizzano la loro arte residuale per trovare il modo di cavarsela un'altra volta ancora. E il bello è che tanta perfezione, un mix di bravura e freddezza, sia diventata in qualche modo abitudinaria. Come quando Houdini incatenato e imprigionato in una cassa sott'acqua ne usciva ogni volta in apparente souplesse. Timo Werner completa la rimonta del Chelsea con una veronica letale al 30' del secondo tempo. 0-3. Il Real non è soltanto battuto, ma pure liquidato perché le dimensioni del risultato valgono ai campioni in carica la qualificazione. Un evento incredibile, dopo la vittoria spagnola per 3 – 1 a Stamford Bridge. Mancano quindici minuti alla fine del mondo e il tempo del Bernabeu comincia a sciogliersi, la lancetta dei secondi esita ad avanzare, il passo del Chelsea si fa pesante e un cambio di Ancelotti - Rodrygo per Casemiro, brasiliano per brasiliano quasi a confondere le acque - apparecchia la stangata. Ma perché si compia, è necessaria la pennellata dell'artista. È il momento di Luka Modric. Luka è nato in Croazia nel 1985, e dunque è stato un bambino di guerra. È cresciuto da profugo all'hotel Kolovare, un albergo affacciato sul bel mare di Zara: la sua famiglia vi aveva trovato rifugio mentre il padre Stipe era partito per il fronte della guerra serbo-croata. La consuetudine con i cambi di scenario in campo, governati con gelida intelligenza, gli viene dall'infanzia passata a giocare a pallone con gli altri ragazzi in partite continuamente interrotte dalle sirene, e dunque via nei sotterranei profondi dell'hotel non senza prima aver salvato il pallone. Il talento cristallino del giovane Luka fu presto evidente, da lì venne il trasferimento a Zagabria alla Dinamo e poi il prestito a 18 anni allo Zrinjski di Mostar, campionato bosniaco: un ambiente unico, per così dire, visto che pochi anni dopo i massacri vi si affrontavano squadre di serbi, di croati e di musulmani. Una sola stagione, ma coronata dal premio di miglior giocatore del torneo. Un periodo altamente formativo, racconta a volte Luka nelle serate più rilassate, perché in un contesto colmo di rancori un ragazzino così tecnicamente superiore era una preda da una parte, e un compagno da proteggere a tutti i costi dall'altra, perché poi ti faceva vincere. C'è tutta questa storia dietro alla prontezza con la quale Modric, cinque interminabili minuti dopo lo 0-3 di Werner, disegna con la parte esterna del piede destro un lancio al millimetro per Rodrygo, che non sbaglia l'impatto e riguadagna al Real la chance dei supplementari, dove Benzema salderà il conto al Chelsea. Un lancio di tale bellezza - per la precisione, per il timing, per la difficoltà del gesto, per la sua importanza - da descrivere una volta di più perché certi (pochissimi) calciatori condensino dentro di sé la pittura, l'architettura, la musica. E dopo una simile meraviglia, mentre la gente impazziva di gioia, il tempo ha ripreso a scorrere regolare, gli orologi si sono silenziosamente irrigiditi, e il Bernabeu ha fatto finta di niente.

Paolo Condò, la Repubblica (13/4/2022)

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