“Discriminazione”. Questa è la parola più utilizzata nel 2021. La più discussa, la più abusata, la più elastica. Elastica perché forse mai nella storia il termine “discriminazione” era stato utilizzato con accezioni così diverse, perfino opposte. Nei dibattiti sul ddl Zan e sul Green Pass la parola è stata (ed è) al centro di discussioni infinite, talvolta è strumentalizzata e maltrattata, senza che in fondo nessuno se ne sia accorto. (…) infine, le polemiche sul Green Pass. I suoi detrattori sostengono che sia una misura anticostituzionale e discriminatoria. Torna il termine “discriminazione”ancora. In questo caso, però, i discriminati non sono vittime, per esempio, di razzismo, sessismo, antisemitismo, omofobia o transfobia. Non sono esclusi da opportunità o privilegi di cui può usufruire la maggioranza delle altre persone. Sono persone che si auto-escludono, che scelgono di non fidarsi della scienza e di fidarsi dei gruppi Telegram amministrati da idraulici, impiegati delle poste e architetti. Sono individui che hanno la grande opportunità di usufruire del privilegio di vaccinarsi (salvandosi la vita) più ancora di quello di entrare in palestra o in un ristorante e scelgono di far parte di una minoranza di egoisti, disinformati e imprudenti. Nessuno li discrimina, anzi i tentativi di includerli nella sfera del buon senso sono infiniti. Eppure, “il Green Pass è una misura discriminatoria”, dicono. Insomma, alla fine di questo 2021 abbiamo imparato parole nuove, da “cluster” a “zoonosi”, ma abbiamo dimenticato cosa significhi “discriminazione”.
Selvaggia Lucarelli, TPI - The Post Internazionali (1/10/2021)
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