Una volta le parole divennero solide, il freddo le aveva intirizzite e ingombrarono il cielo, un cielo fitto di parole rigide e secche, parole di ghiaccio, parole di bastone, parole ritorte col filo di ferro, parole scritte ma senza più suono né eco. All’inizio gli uomini, senza più tutte quelle parole, si trovarono bene, la loro vita diventò meno complicata, per esprimersi e comunicare tra loro usavano semplici suoni e gesti e comportamenti conclusivi. Se avevano fame mangiavano, se odiavano qualcuno lo picchiavano, se desideravano la roba di altri cercavano di prenderla e se amavano una persona o una cosa lo dimostravano in tutta spontaneità. Diventò impossibile, per esempio, nascondersi dietro le bugie, anzi diventò del tutto inutile: perché mentire se azioni ed intenzioni non potevano che essere palesi? E come mentire non potendo usare le parole? Solo le parole infatti contengono molti significati, spesso opposti l’uno all’altro, al riparo dei quali la bugia domina sovrana.
Ma insieme alla bugia scomparvero
l’allusione e l’ironia: difficile esprimerle soltanto con gesti e suoni.
Caddero una dopo l’altra le sfumature, divenne molto difficile risalire da una
sensazione a un giudizio e da un’immagine ad un concetto.
Non disponendo di parole, si faceva
grandissima fatica a conservare memoria di quanto era accaduto; ma
indebolendosi la memoria, fu messa in causa la stessa utilità della mente la
quale, se priva di memoria, sarebbe assai simile ad una persona che non abbia
né braccia né gambe. Infine dileguarono le illusioni, anch’esse tessute di
parole, e allora gli uomini cominciarono a sentirsi derelitti e infinitamente
poveri.
Quando la mente si rese conto del
rischio che stava correndo per il fatto che le parole non parlavano più, la sua
preoccupazione fu grandissima. Gli istinti, che fino a quel momento erano stati
il suo alimento, non avevano infatti più bisogno di lei che sovrapponendosi ad
essi li guidasse, li tenesse a freno e li utilizzasse per realizzare i suoi
disegni: il regno della mente era fatto di immagini e queste si manifestavano
attraverso i nomi che a ciascuna venivano imposti; ma i nomi non si trovavano
più e le immagini, senza più nome, si disfacevano.
Insomma, poiché si erano congelate
le parole, si stava congelando anche il pensiero. A quel punto il pensiero si
allarmò e gli uomini furono presi da una grande paura: come avrebbero vissuto
senza più pensiero?
Furono convocati immediatamente dei
congressi per discutere l’argomento, ma risultò subito chiaro che i congressi
erano impossibili poiché — senza le parole — non si poteva organizzare una
decente discussione. Le parole-bastone però si potevano ancora usare poiché
erano molto semplici, non avevano bisogno di eco, non contenevano che un solo
significato che si poteva perfettamente esprimere anche con il gesto. Perciò ne
fu autorizzato il commercio, ma da questa cauta riforma non scaturirono grandi
progressi, anzi non se ne verificò alcuno.
Tutti
dicevano «sì, sì» oppure «no, no», dicevano «evviva» o «abbasso», dicevano
«pace» o «guerra», ma non riuscivano più a spiegare il perché di quei «sì», di
quegli «abbasso» e di quelle guerre.
Qualcuno a questo punto obbietterà che, anche avendo a disposizione l’intero vocabolario, quelle spiegazioni non vengono date o risultano incomprensibili, il che alla fin fine si equivale; ma questa obbiezione non è interamente vera e in ogni caso ci sostiene l’illusione che non lo sia.
Eugenio Scalfari, “Quando le parole diventarono mute e ingombrarono il cielo” - tratto da “Alla ricerca della morale perduta” (ed. Einaudi – 1995)