Il terzo gruppo comprende Paesi con deficit molto più bassi, tra il 3 e il 6 per cento del Pil. Qui stanno Svizzera, Corea del Sud, e tutti i Paesi “nordici” (Germania, Svezia, Danimarca, Finlandia, Irlanda, Olanda). Ci sta pure il Portogallo, seppure su valori tra i più alti del gruppo (6 per cento). Queste differenze tra gruppi di Paesi riflettono tre circostanze. Primo, il punto di partenza: Paesi che già prima della crisi avevano un deficit basso o, come Germania e Olanda, erano in surplus, hanno retto meglio lo shock. Secondo, la caduta del Pil: dove il Pil è caduto di più le entrate dello stato hanno maggiormente sofferto e la spesa è aumentata più rapidamente. Terzo, probabilmente, hanno pesato fattori culturali: insomma, la Germania è stata come sempre molto prudente. [...] Cosa accadrà, per esempio, al debito pubblico italiano rispetto a quello tedesco? Il divario tra debito italiano e tedesco, già sui massimi storici nel 2019 (75 punti percentuali) raggiungerebbe i 92 punti percentuali nel 2024 (62 per cento per la Germania contro 154 per cento per l’Italia). Questa divaricazione tra Paesi del Nord e Paesi del Sud nell’andamento del debito pubblico renderà molto difficile trovare un accordo su come le regole del patto di stabilità dovranno essere modificate e su quando debbano rientrare in vigore. Ma il vero problema è che le enormi differenze nel livello di debito pubblico tra i Paesi dell’area euro li rende diversamente vulnerabili a un aumento dei tassi di interesse causato da una futura impennata dell’inflazione media dell’area (l’obiettivo dell’azione della Bc). [...] È vero che l’aumento del debito pubblico nel biennio Covid è stato soprattutto nei confronti della Bce e, legalmente, delle banche nazionali (è la Banca d’Italia che compra il 90 per cento dei Btp acquistati dal sistema europeo delle banche centrali). Questo implica che, finché tali titoli restano in possesso delle banche nazionali, l’aumento dei tassi di interesse non tocca i bilanci pubblici (perché i profitti delle banche nazionali sono in gran parte passati agli stati). Ma se l’inflazione aumentasse la Bce potrebbe dover ridurre la detenzione di tali titoli per riassorbire la liquidità creata in eccesso nel biennio Covid. Un aumento dell’inflazione e dei tassi di interesse potrebbe quindi gravare in modo anche più forte che in passato sul debito dei vari Paesi e generare tensioni crescenti. È un rischio da non sottovalutare.
Carlo Cottarelli, La Stampa (13/4/2021)
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