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"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

martedì 16 giugno 2020

Poteri di veto

Da più parti si invoca un «piano» del governo per lo sviluppo. Il governo - si dice - deve usare la finestra di opportunità che si è aperta per riformare la Pubblica amministrazione e la giustizia, rimettere in moto l’Italia delle infrastrutture, rimuovere gli ostacoli che impediscono un rapido ed efficace impiego dei soldi pubblici, ristrutturare la sanità, investire in istruzione. Insomma, si chiede al governo di fare quello che è il suo mestiere: darsi delle priorità, decidere, colpire gli interessi, grandi e piccoli, che, da tanto tempo, funzionano come un «tappo» che blocca e comprime le forze vitali del Paese. Lodevoli propositi, rispettabilissime richieste. Ma esse si scontrano con il fatto che un governo capace di fare le suddette cose non c’è. Ciò vale per il governo Conte come per qualsiasi altro governo. Non si considera che l’Italia è una Repubblica fondata sul potere di veto. C’è sempre stata coerenza o sintonia fra l’esigenza di certe categorie professionali di non subire interventi del governo lesivi dei loro interessi e un assetto istituzionale fondato sulla dispersione anziché sulla concentrazione del potere di governo. Un tale assetto assicura la presenza di un gran numero di poteri di veto, assicura che qualunque iniziativa del governo potenzialmente lesiva degli interessi di categorie professionali dotate di una qualche rilevanza si scontrerà con veti diffusi ed efficaci e, quasi certamente, ne uscirà sconfitta. Nel duello fra «l’Italia della decisione» e «l’Italia dei veti» la seconda è, da tanto tempo, molto più forte della prima.

Angelo Panebianco, Corriere della Sera (14/6/2020)

Canzone del giorno: Change Of Pace (1976) - Albert King
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