Oggi proviamo a festeggiare. Stanchi, impauriti, preoccupati per un futuro incerto, tristi per le persone perdute in questi mesi, eppure celebriamo. Settantacinque anni fa l’Italia si liberava dell’occupazione nazifascista, usciva dall’immane tragedia della guerra per ricostruire un paese democratico, libero, prospero. O per lo meno questo era il progetto originario. Adesso, senza cadere nell’abusata e impropria metafora della guerra, siamo di nuovo di fronte a un momento in cui ci è richiesto uno slancio, un colpo d’ala, per uscire da una crisi sanitaria, economica e sociale che morde forte e rievoca i nostri fantasmi più paurosi: disoccupazione, povertà, solitudine. (...)
Prima dell’esplosione della pandemia non vivevamo in un mondo perfetto: la crisi climatica e ambientale era drammatica e, come detto, sul piano della giustizia sociale la situazione nazionale e globale si stava deteriorando progressivamente. Sperare, con la riapertura, che tutto torni a com’era prima non può bastare, abbiamo bisogno di una normalità del tutto nuova per evitare il peggio. Una nuova normalità alla nostra portata. Io penso allora che ci siano almeno tre campi da arare per ripartire migliori di come eravamo: giustizia sociale, ambiente e beni comuni. (...) ...le cause profonde del disastro vanno cercate proprio in un modello economico squilibrato, malfunzionante, che genera la cultura dello scarto. Ecco allora che, per raggiungere un nuovo equilibrio, dobbiamo ripartire dall’indicare chiaramente i valori fondamentali che guidano il nostro agire. Il 25 aprile di settantacinque anni fa ha posto le basi su cui è nata la Costituzione. Voglio qui ricordarne l’articolo 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
La parola solidarietà è il centro di questo articolo, è il collante della società ed è un obbligo, appunto un dovere inderogabile. Dalle crisi si esce solo insieme, o tutti o nessuno. Per fare sì che ne usciamo tutti, allora, la solidarietà sarà la nostra stella polare. Oggi festeggiamo, insieme, questa prospettiva.
Carlo Petrini, La Stampa (25/4/2020)
Prima dell’esplosione della pandemia non vivevamo in un mondo perfetto: la crisi climatica e ambientale era drammatica e, come detto, sul piano della giustizia sociale la situazione nazionale e globale si stava deteriorando progressivamente. Sperare, con la riapertura, che tutto torni a com’era prima non può bastare, abbiamo bisogno di una normalità del tutto nuova per evitare il peggio. Una nuova normalità alla nostra portata. Io penso allora che ci siano almeno tre campi da arare per ripartire migliori di come eravamo: giustizia sociale, ambiente e beni comuni. (...) ...le cause profonde del disastro vanno cercate proprio in un modello economico squilibrato, malfunzionante, che genera la cultura dello scarto. Ecco allora che, per raggiungere un nuovo equilibrio, dobbiamo ripartire dall’indicare chiaramente i valori fondamentali che guidano il nostro agire. Il 25 aprile di settantacinque anni fa ha posto le basi su cui è nata la Costituzione. Voglio qui ricordarne l’articolo 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
La parola solidarietà è il centro di questo articolo, è il collante della società ed è un obbligo, appunto un dovere inderogabile. Dalle crisi si esce solo insieme, o tutti o nessuno. Per fare sì che ne usciamo tutti, allora, la solidarietà sarà la nostra stella polare. Oggi festeggiamo, insieme, questa prospettiva.
Carlo Petrini, La Stampa (25/4/2020)
Canzone del giorno: Viva l'Italia (1979) - Francesco De Gregori
Clicca e ascolta: Viva l'Italia....
PER RINASCERE MIGLIORI DOPO IL CORONAVIRUS S’IMPONE LA SOLIDARIETÀ
Carlo Petrini, La Stampa (25/4/2020)
Oggi proviamo a festeggiare. Stanchi, impauriti, preoccupati per un futuro incerto, tristi per le persone perdute in questi mesi, eppure celebriamo. Settantacinque anni fa l’Italia si liberava dell’occupazione nazifascista, usciva dall’immane tragedia della guerra per ricostruire un paese democratico, libero, prospero. O per lo meno questo era il progetto originario. Adesso, senza cadere nell’abusata e impropria metafora della guerra, siamo di nuovo di fronte a un momento in cui ci è richiesto uno slancio, un colpo d’ala, per uscire da una crisi sanitaria, economica e sociale che morde forte e rievoca i nostri fantasmi più paurosi: disoccupazione, povertà, solitudine.
Il coronavirus ci costringe a guardare in faccia le profonde disuguaglianze che solcano la nostra società, dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, dove i servizi pubblici sono stati progressivamente erosi da privatizzazioni e tagli alla spesa in nome degli interessi del mercato, dove scopriamo che quasi un quinto dei nostri ragazzi non ha un accesso fluido a internet o un device adeguato per seguire la didattica a distanza e dunque ne è di fatto escluso. In sostanza, c’è ancora da fare per portare a compimento quella società giusta, democratica e inclusiva che i nostri nonni hanno sognato, ma proprio in un momento di grande difficoltà e disorientamento abbiamo l’opportunità di reimpostare la rotta in quella direzione. Prima dell’esplosione della pandemia non vivevamo in un mondo perfetto: la crisi climatica e ambientale era drammatica e, come detto, sul piano della giustizia sociale la situazione nazionale e globale si stava deteriorando progressivamente. Sperare, con la riapertura, che tutto torni a com’era prima non può bastare, abbiamo bisogno di una normalità del tutto nuova per evitare il peggio. Una nuova normalità alla nostra portata. Io penso allora che ci siano almeno tre campi da arare per ripartire migliori di come eravamo: giustizia sociale, ambiente e beni comuni. Dovremo rendere più egualitarie le nostre comunità, garantendo una redistribuzione seria della ricchezza e dell’accesso alle opportunità, favorendo le categorie più fragili e dedicando risorse alla riduzione del divario economico e culturale. Dovremo ripensare il nostro modello produttivo, mettendo una volta per tutte da parte l’approccio predatorio nei confronti delle risorse naturali e dell’ambiente e generando posti di lavoro e ricchezza proprio nei settori della tutela, della salvaguardia e della riconversione verde. Infine, dovremo costruire modi diversi di gestire i servizi pubblici essenziali, recuperando la categoria dei beni comuni, consapevoli che questi richiedono una gestione radicalmente nuova, comunitaria, partecipata e collettiva e dunque obbligano tutti all’impegno e alla vigilanza. Sembrano obiettivi lontani, parole buone per celebrare una ricorrenza storica e per praticare un po’ di consolante utopia. Non facciamo l’errore di pensarlo! Possiamo davvero fare di questi punti un programma politico, culturale e sociale per il futuro prossimo. Non abbiamo altre scelte percorribili, non possiamo recuperare le categorie stantie del turbocapitalismo per rialzarci. Non questa volta, perché le cause profonde del disastro vanno cercate proprio in un modello economico squilibrato, malfunzionante, che genera la cultura dello scarto. Ecco allora che, per raggiungere un nuovo equilibrio, dobbiamo ripartire dall’indicare chiaramente i valori fondamentali che guidano il nostro agire. Il 25 aprile di settantacinque anni fa ha posto le basi su cui è nata la Costituzione. Voglio qui ricordarne l’articolo 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
La parola solidarietà è il centro di questo articolo, è il collante della società ed è un obbligo, appunto un dovere inderogabile. Dalle crisi si esce solo insieme, o tutti o nessuno. Per fare sì che ne usciamo tutti, allora, la solidarietà sarà la nostra stella polare. Oggi festeggiamo, insieme, questa prospettiva.