La discussione sui braccialetti
elettronici di Amazon, al netto delle boiate da campagna elettorale, è appassionante. Non riguarda solamente i
rapporti tra capitale e lavoro: riguarda, ben più in esteso, la smisurata
accelerazione delle tecnologie e l'affanno con il quale prendiamo atto di un
futuro già presente. In una sola domanda: quanto le tecnologie ci assistono; quanto ci controllano? Quanto ci liberano dal
bisogno, quanto ci imprigionano a “reti” che verificano non solamente il nostro
zelo di lavoratori, ma anche, se non soprattutto, la nostra fedeltà di
consumatori? Non è tracciato solamente il percorso che l’operaio/a Amazon percorre
nel labirinto dei capannoni. È tracciata
la nostra intera esistenza di compratori, anche noi, spesso senza saperlo,
indirizzati verso la “merce giusta”, avvolti da un bozzolo di dati e di suggerimenti
e di stimoli che si adatta alla sagoma virtuale che ognuno di noi traccia,
senza saperlo, ogni volta che siamo connessi. Abbiamo un braccialetto al polso
pure noi, ma invisibile. Verifica dove siamo, cosa stiamo facendo, di fronte a
quale scaffale ci piacerebbe essere. Non è questione di essere catastrofisti o
luddisti, è solo questione di farci continuamente, e senza risposte
precostituite, la domanda di prima: quanto la tecnologia ci assiste; quanto ci controlla? E fino a quando ci sarà consentito assentarci, almeno
per un poco, sparendo alla vista della Torre di Controllo, sfuggendo a ogni
radar, sentendoci finalmente indefinibili, non tracciabili, insomma liberi?
Michele
Serra, L’Amaca (Repubblica – 4/2/2018)
Canzone del giorno: Radar (2008) - Britney Spears
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