Ci stavamo illudendo, non ne avevamo
motivo. Adesso Barcellona. Prima, Parigi. Prima ancora Londra, due volte.
Andando indietro: Stoccolma, Londra, Berlino, Nizza. In poco più di un anno,
otto attentati con la stessa tecnica, orribilmente semplice: falciare la folla
con un mezzo a motore. Gli assassini non hanno fantasia; noi non abbiamo
memoria. È umana e comprensibile, questa rimozione. Ma non ce la possiamo
permettere.(...)
Si sentono
pianti e lingue mescolate. Voci gridano piangendo «hijos de puta» («figli di puttana») e «malditos»
(«maledetti»). Ma cosa importa di tutto questo ai mostri distanti dell’Isis? La
loro idea di guerra è uccidere ragazzi a passeggio, un giovedì sera d’estate.
Se hanno un dio, chissà come si vergogna di loro. Alla nausea davanti
all’orrore, s’aggiunge le vergogna colpevole della ripetizione. Cosa possiamo
dire che non abbiamo già detto? Cosa possiamo raccontare che non abbiamo già
raccontato? Le dirette televisive, i siti web, le immagini e le notizie sono
simili a quelli che hanno segnato l’estate 2016, e poi l’autunno, e poi
l’inverno, e poi la primavera del 2017. (...) La prevenzione assoluta è impossibile, purtroppo. Ma
l’orrendo modus operandi dei terroristi dell’Isis appare chiaro. Oltre ai
luoghi simbolici, prendono di mira posti affollati: la passeggiata di Nizza, il
mercato di Berlino, il concerto di Manchester. Oppure sale da concerto, stadi,
chiese. In una sorta di spaventosa economia degli sforzi, vogliono fare molto
male in poco spazio e in breve tempo. Sapere questo non ci rende invulnerabili,
come abbiamo visto; ma un po’ meno vulnerabili forse sì.
Beppe Severgnini, Il Corriere della Sera (17/8/2017)
Canzone del giorno: Black in Mind (1995) - Rage
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