Più
che una faglia sismica, ormai sembra una trincea di guerra. I trenta chilometri
di paura che partono da Visso a nord fino ad Accumoli a sud continuano a
sfornare terremoti. E invece di scemare in energia, le scosse
diventano sempre più forti. Il sisma che ieri alle 7:40 ha raggiunto la
magnitudo 6.5 «è il più forte in Italia dal terremoto dell’Irpinia
del 1980» spiega Gianluca Valensise dell’Istituto Nazionale di Geofisica e
Vulcanologia (Ingv). E in un giorno solo è stato seguito da una raffica di
altre trecento scosse, di cui una quindicina di magnitudo superiore a 4.
Questo andamento in crescendo, in realtà, viene considerato un colpo di fortuna. «Se l'energia che è stata rilasciata da tre grandi scosse e da uno sciame durato due mesi si fosse sprigionata in un colpo solo, avremmo probabilmente raggiunto una magnitudo 7» spiega Paolo Messina, direttore dell’Istituto di Geologia ambientale del Cnr. La scossa, cioè, sarebbe stata quasi 6 volte più forte del terremoto di ieri e quasi 30 volte più potente del sisma del 26 ottobre.
Quando l’escalation si fermerà – che è la domanda che una popolazione stremata oggi non smette di farsi – nessuno però è in grado di dirlo. «A un certo punto perderà energia e incontrerà una faglia che non è più disposta a farsi attivare» spiega Valensise. «Ma per bene che vada, ci aspetta comunque un periodo di sciame». Per fare previsioni occorrerebbe sapere esattamente come sono disposte le fratture del terreno nel sottosuolo. E conoscere quanto la rotazione degli Appennini in senso anti-orario stia stirando – caricandoli di energia – i vari pezzi del domino di faglie sotterranee in cui è spezzettata questa zona dell’Italia centrale. «Le tensioni si accumulano lungo le faglie con il tempo. Poi all’improvviso, nel momento del sisma, vengono rilasciate. Quanto sia carico ciascun punto di una faglia è però impossibile da misurare» spiega Daniela Pantosti, direttrice della Struttura terremoti dell’Ingv. «Prevedere il momento della rottura – aggiunge Valensise – sarebbe come conoscere in anticipo quale goccia farà traboccare un vaso».
Questo andamento in crescendo, in realtà, viene considerato un colpo di fortuna. «Se l'energia che è stata rilasciata da tre grandi scosse e da uno sciame durato due mesi si fosse sprigionata in un colpo solo, avremmo probabilmente raggiunto una magnitudo 7» spiega Paolo Messina, direttore dell’Istituto di Geologia ambientale del Cnr. La scossa, cioè, sarebbe stata quasi 6 volte più forte del terremoto di ieri e quasi 30 volte più potente del sisma del 26 ottobre.
Quando l’escalation si fermerà – che è la domanda che una popolazione stremata oggi non smette di farsi – nessuno però è in grado di dirlo. «A un certo punto perderà energia e incontrerà una faglia che non è più disposta a farsi attivare» spiega Valensise. «Ma per bene che vada, ci aspetta comunque un periodo di sciame». Per fare previsioni occorrerebbe sapere esattamente come sono disposte le fratture del terreno nel sottosuolo. E conoscere quanto la rotazione degli Appennini in senso anti-orario stia stirando – caricandoli di energia – i vari pezzi del domino di faglie sotterranee in cui è spezzettata questa zona dell’Italia centrale. «Le tensioni si accumulano lungo le faglie con il tempo. Poi all’improvviso, nel momento del sisma, vengono rilasciate. Quanto sia carico ciascun punto di una faglia è però impossibile da misurare» spiega Daniela Pantosti, direttrice della Struttura terremoti dell’Ingv. «Prevedere il momento della rottura – aggiunge Valensise – sarebbe come conoscere in anticipo quale goccia farà traboccare un vaso».