Scrive Aldo Cazzullo che, nonostante alcuni siciliani (Mattarella, Grasso, Alfano) siano alla guida delle più alte cariche istituzionali, la Regione è assalita da vergognosi scandali e, come se non bastasse, i ritardi infrastrutturali sono divenuti cronici: "Parlare di tragedia non è eccessivo. L’ex governatore Cuffaro in galera per mafia. Il suo successore Lombardo sotto processo per mafia. Ma, quelche è peggio, l’alternanza politica non ha portato a un vero cambiamento nei costumi, nell’amministrazione, nella legalità. Le inchieste della magistratura stanno spazzando via la nuova classe dirigente dell’isola".
In questo contesto è interessante leggere un'articolo sull'argomento di Attilio Bolzoni di pochi giorni fa su Repubblica che evidenzia come, quando si parla di tangenti, c'è un filo che lega i padroni della Sicilia e i poteri di Roma.
Il giornalista è esplicito sin dalle prime righe: "Sono diventati padroni di tutto. E anche di tutti. Hanno ridotto la Sicilia in una sorta di schiavitù, signori e servi. Lo chiamano il califfato di Palermo. Eccola la classe dirigente dell'isola che, dieci anni fa all'incirca, si è presentata all'Italia per fare una "rivoluzione". Affari, affari, solo affari. Sotto la maschera c'è sempre stata una Cupola che sembrava intoccabile.
Oggi, dopo la conquista di un potere che - immutabile - è passato attraverso voti e apparati e commerci da Totò Cuffaro a Raffaele Lombardo e da Raffaele Lombardo a Rosario Crocetta, c'è un sistema che crolla. Si sta sgretolando sotto i colpi delle inchieste giudiziarie (e anche giornalistiche), si è fatto poltiglia fra mazzette e scandali mentre si allungano ombre su coperture politiche che partono dal governatore dell'isola e arrivano al ministro dell'Interno Angelino Alfano - amico fin dagli anni '90 del presidente della Rfi Dario Lo Bosco appena arrestato per tangenti e grande sponsor per l'Agenzia dei beni confiscati di Antonello Montante poi indagato per reati di mafia - , sfiorano al momento l'alta burocrazia, conducono al cuore di un dominio che ha governato la Sicilia con la corruzione e con la paura. Intorno ai nuovi padroni di Palermo ormai però c'è il vuoto. Arresti, investigazioni, libri mastri delle "stecche", pentiti di Cosa Nostra. Non sono casi isolati, episodio dopo episodio e nome dopo nome tutto torna".
Canzone del giorno: Io vorrei che per te (2015) - Edoardo Bennato
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Tangenti, quel filo che lega i padroni della Sicilia e i poteri di Roma
SONO diventati padroni di tutto. E anche di tutti. Hanno ridotto la Sicilia in una sorta di schiavitù, signori e servi. Lo chiamano il califfato di Palermo. Eccola la classe dirigente dell'isola che, dieci anni fa all'incirca, si è presentata all'Italia per fare una "rivoluzione". Affari, affari, solo affari. Sotto la maschera c'è sempre stata una Cupola che sembrava intoccabile.
Oggi, dopo la conquista di un potere che - immutabile - è passato attraverso voti e apparati e commerci da Totò Cuffaro a Raffaele Lombardo e da Raffaele Lombardo a Rosario Crocetta, c'è un sistema che crolla. Si sta sgretolando sotto i colpi delle inchieste giudiziarie (e anche giornalistiche), si è fatto poltiglia fra mazzette e scandali mentre si allungano ombre su coperture politiche che partono dal governatore dell'isola e arrivano al ministro dell'Interno Angelino Alfano - amico fin dagli anni '90 del presidente della Rfi Dario Lo Bosco appena arrestato per tangenti e grande sponsor per l'Agenzia dei beni confiscati di Antonello Montante poi indagato per reati di mafia - , sfiorano al momento l'alta burocrazia, conducono al cuore di un dominio che ha governato la Sicilia con la corruzione e con la paura. Intorno ai nuovi padroni di Palermo ormai però c'è il vuoto. Arresti, investigazioni, libri mastri delle "stecche", pentiti di Cosa Nostra. Non sono casi isolati, episodio dopo episodio e nome dopo nome tutto torna.
Le cronache degli ultimi mesi raccontano di vergogne e ruberie e combine dove sono stati intrappolati costruttori come Mimmo Costanzo (assessore al Bilancio della prima giunta del sindaco di Catania Enzo Bianco e "volto nuovo" dell'imprenditoria siciliana, legatissimo al presidente di Unioncamere Ivan Lo Bello) e commissari straordinari di camere di commercio come Ivo Blandina, il presidente e il vice presidente dell'Ance Salvo Ferlito e Pietro Funaro, il presidente della camera di commercio Roberto Helg (condannato ieri a 4 anni e 8 mesi), una carrellata di personaggi meno noti degli ambienti industriali e del sottobosco politico di Palermo che stanno scivolando nelle maglie delle indagini. In Sicilia - con la complicità di un paio fra ministri ed ex ministri, questori, prefetti, funzionari ministeriali, ufficiali della Finanza in servizio e in congedo, colonnelli in forza ai Servizi, capi centri Dia - hanno creato un "club" che ha deciso ogni grande scelta dal 2005 in poi. Uno dei registi della trama politica è l'ex presidente della commissione antimafia Beppe Lumia, che ha traghettato pezzi di Sicilia da una sponda all'altra, dal centro-destra al centro-sinistra giocando su mafia e antimafia e puntando alla fine su due uomini, Rosario Crocetta e Antonello Montante. Il primo è diventato ufficialmente il governatore dell'isola, il secondo lo è stato di fatto condizionandolo in tutto per tutto l'attività di governo. Alla luce del sole.
Promiscuità fra pubblico e privato, commistioni. Che cosa è quella di Lo Bosco all'Ast che stipula contratti - 160 mila nel 2013, 80 mila nel 2014 - con l'azienda di ammortizzatori del delegato nazionale per la legalità di Confindustria e che a un'altra società di Montante affitta vecchi pullman per 100 euro al mese? È il gioco delle tre carte. Con un assessore alle Attività Produttive della Regione Linda Vancheri, da sempre agli ordini di Montante, che ha proposto nomine (anche quella dello stesso Lo Bosco alla camera di commercio di Catania) e che ha preso disposizioni di governo su mandato di imprenditori che hanno militarmente occupato ogni postazione pubblica che poteva vomitare denaro. La Vancheri conosce molti segreti del califfato di Palermo.
Ci sono due luoghi che più di ogni altro segnano la storia di questa vicenda siciliana di potere e mistero. Uno è l'hotel Bernini di Roma e l'altro Palazzo d'Orleans, la sede della presidenza della Regione siciliana. Sono i due quartieri generali dove in questi ultimi anni i nuovi padroni della Sicilia - qualche volta con loro anche un ex magistrato molto noto che ha fatto con devozione da ufficio stampa a Montante - si incontrano (all'hotel, il mercoledì mattina) per determinare le sorti della politica regionale e scegliere di volta in volta i loro gregari. È una connection fra Roma e Palermo per condizionare ogni attività in società pubbliche e private, camere di commercio, promuovere aziende da selezionare per l'Expo, mettere le mani su porti e interporti e aeroporti, trasporti su gomma, su navi e su treni, pilotare appalti per strade e ponti. E incarichi, investiture, premi ai fedelissimi. Poi, all'improvviso, qualcosa si è rotto. Qualcuno ha cominciato a parlare, a denunciare. Come il presidente di Confindustria Centro-Sicilia Marco Venturi. Come l'ex presidente dell'Irsap Alfonso Cicero. E Palermo - non solo Palermo - trema.