Giuseppe Montesano, scrittore e insegnante di Liceo, prova a interpretare i comportamenti di tanti ragazzi che frequentano le varie discoteche dislocate sul nostro territorio.
Su Il Messaggero di qualche giorno fa evidenzia che "Chi va in discoteca per sfogarsi ballando sa che basta spingere una porta per passare a un’altra situazione, quella in cui lo sballo nei bagni e il sesso occasionale sono la norma. E con molta logica i ragazzi ti dicono anche che «il passare o no dall’altra parte» è una scelta: chi lo fa, lo fa perché vuole farlo. Ma forse questo è il punto di vista di chi “dall’altra parte” non ci passa: e oscilla tra il moralismo assoluto e il libertarismo assoluto dei vent’anni. Il fatto è che il rito attuale della discoteca fa spesso arrivare all’estremo la rappresentazione falsa di se stessi che regola la società anche fuori dalla discoteca: si arriva all’eccesso per paura di non apparire all’altezza. I ragazzi sono fragili, ma non possono mostrarlo".
La fragilità dei ragazzi di oggi è un tema delicato e dalle mille sfaccettature. Non ė per niente facile riuscire a trovare la chiave di volta per capire il modello che in tanti, siano essi ragazzi o ragazze, cercano di imitare per non sentirsi ai margini, inferiori rispetto agli altri che stanno intorno: "Il meccanismo è lo stesso che funziona su facebook: per sentirmi “uno buono” o uno che “esiste”, devo fingere di essere come gli altri mi vogliono. Il punto è qui: il resto sono chiacchiere moralistiche che non salvano nessuno. Non è la discoteca di per sé il luogo del “male”: come non lo sono di per sé i giardinetti dove vanno a sballarsi i tossici".
Il filo che separa il bene dal male oggi appare più sottile che mai. Come ci ricorda Montesano la questione della debolezza interiore è complessa e sarebbe inutile chiudere tutte le discoteche (fermo restando che seri controlli e una più rigida regolamentazione degli orari di fruizione male non farebbe!): "La discoteca è il male? Se fosse così semplice sarebbe tutto risolto domani, ma non è così. Il problema è la paura di scoprire e comunicare ciò che si è davvero, e quindi decidere di vivere la propria vita e non la vita degli altri. Ma è un problema solo dei “giovani”, o anche dei cosiddetti “adulti”? Una risposta ci farebbe fare molti passi in avanti: forse ballando, e a ritmo. E in tempi grigi un po’ di musica, anche nel pensiero, farebbe bene a tutti".
Canzone del giorno: Fragile (1999) - Negrita
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Giuseppe Montesano, Il Messaggero del 11/8/2105
Discoteca, si arriva agli eccessi per fragilità
I ragazzi in discoteca vanno per sentirsi liberi, o per morire assurdamente giovani? Le prime volte che gli chiedo cosa ci vanno a fare, mi rispondono con aria saputa, ridacchiano allusivi e si guardano tra loro complici: «Mah, prof, che andiamo a fare in discoteca? Ma si sa... Si va a ballare, no?... Sì, ci scateniamo un po’, è normale, siamo giovani...». E le facce ben truccate di ragazze fintamente sapienti e di ragazzi fintamente duri mi guardano, un po’ studiandomi e un po’ sfidandomi: E ora che dirà? Poi con il prof che non li giudica, perché pensa che la cosa importante sia portare a galla il buio che abbiamo dentro, tirano fuori sul “rito discoteca” qualcosa che è insieme molto individuale e molto collettivo. C’è chi dice che è una “scemata”, però è “divertente” sfogarsi ogni tanto: è la ragazza bella, che non ha bisogno di conferme; e c’è chi dice che in fondo è sopravvalutata, la disco, e che alla fine o ti sballi o ti annoi: è il ragazzo che ci è stato, ma è passato ad altro; e c’è chi sta zitto ma vorrebbe dire, il silenzioso e fragile, pieno di desiderio e insicurezza. Con i ragazzi è difficile parlare della “discoteca” perché è un luogo simbolico, ma anche perché è un luogo dove chi ci va un po’ si vergogna di andarci: ma si vergogna di più a confessarlo. Chi va in discoteca per sfogarsi ballando sa che basta spingere una porta per passare a un’altra situazione, quella in cui lo sballo nei bagni e il sesso occasionale sono la norma. E con molta logica i ragazzi ti dicono anche che «il passare o no dall’altra parte» è una scelta: chi lo fa, lo fa perché vuole farlo. Ma forse questo è il punto di vista di chi “dall’altra parte” non ci passa: e oscilla tra il moralismo assoluto e il libertarismo assoluto dei vent’anni. Il fatto è che il rito attuale della discoteca fa spesso arrivare all’estremo la rappresentazione falsa di se stessi che regola la società anche fuori dalla discoteca: si arriva all’eccesso per paura di non apparire all’altezza. I ragazzi sono fragili, ma non possono mostrarlo: sarebbero considerati “scieme”, “strunz’” e via salendo la scala della violenza verbale. I ragazzi non possono essere se stessi, devono essere sempre qualcun altro: e quindi imitare. Il “modello” vincente in discoteca, ma non solo, è chi “fa vedere” di essere un duro? Allora bisogna imitarlo: o ci si sentirebbe umiliati perché inferiori a lui. Il meccanismo è lo stesso che funziona su facebook: per sentirmi “uno buono” o uno che “esiste”, devo fingere di essere come gli altri mi vogliono. Il punto è qui: il resto sono chiacchiere moralistiche che non salvano nessuno. Non è la discoteca di per sé il luogo del “male”: come non lo sono di per sé i giardinetti dove vanno a sballarsi i tossici. Nell’azione di ballare con gli altri fin quasi all’esaurimento si mima l’erotismo come in un grande teatro, in uno sfrenamento collettivo ma con dei limiti, una sorta di gioco del mettersi al quale i ragazzi non vogliono rinunciare: ma questo rito, al quale i ragazzi partecipano per vivere e non per morire, è reso pericoloso dalla speculazione che lo inquina. E si torna alla questione cruciale: un Io fragile si rompe forse più facilmente in una discoteca, ma in realtà si rompe dovunque la società è fasulla. L’ignoranza che un adolescente o un giovane ha sui suoi bisogni e sulle sue pulsioni è enorme, anche ora che tutti sembrano sapere tutto: e forse lo è di più ora che è appesa a un “mi piace” o a un “non mi piace” che può moltiplicarsi in pochi secondi e distruggerti. I ragazzi hanno paura ad esprimersi con le parole e con i corpi, e questa paura li fa vivere in un modo distorto e falsificato che spesso finisce con lo spezzarli dentro: perché non gli permette di capire la differenza tra le fantasie e la realtà. I ragazzi non chiedono comprensione cieca, ma interlocutori che li vedano sul serio: e non li trovano; chiedono modelli: e trovano burattini o burattinai; chiedono verità: e trovano bugie. La discoteca è il male? Se fosse così semplice sarebbe tutto risolto domani, ma non è così. Il problema è la paura di scoprire e comunicare ciò che si è davvero, e quindi decidere di vivere la propria vita e non la vita degli altri. Ma è un problema solo dei “giovani”, o anche dei cosiddetti “adulti”? Una risposta ci farebbe fare molti passi in avanti: forse ballando, e a ritmo. E in tempi grigi un po’ di musica, anche nel pensiero, farebbe bene a tutti.