Pasqua di martirio per gli
studenti universitari barbaramente
uccisi in Kenya, giovedì scorso, nei dormitori e nelle aule della Garissa
University College.
I terroristi hanno trucidato 148 persone, tra cui 142 studenti che si dichiaravano cristiani.
Sul Corriere della Sera di
ieri lo scrittore Paolo Giordano ha commentato l’accaduto partendo da una delle
foto più forti scattate nell’Università di Garissa e che ritrae decine di
cadaveri per terra in uno degli edifici dell’ateneo."L'esercizio che dovremmo fare davanti a questa fotografia è semplice. Riguardarla, ancora una volta, ma alla pelle scura dei volti schiacciati contro il pavimento, dei toraci nudi e delle braccia, sostituire una carnagione chiara, rosata — più simile alla nostra.
Retorico? Patetico? Forse. Eppure di rado ci
ricordiamo di farlo. Siamo in buona parte educati e terzomondisti, ma resiste
in noi un nocciolo di apatia, ed esso non conosce evoluzione, ragiona in maniera
istintiva o non ragiona affatto. Cambiare colore alla pelle dei ragazzi riversi
fra le sedie e le chiazze di sangue rappreso cambia ancora qualcosa nella
nostra reazione. L’orrore – che pure abbiamo sentito dall’inizio – prende
all’improvviso a sgorgare da una fonte diversa, non più dal cervello, bensì
da un organo collocato molto più in basso, tra la cistifellea e le altre
viscere, un organo che insieme secerne indignazione, rabbia, paura. Se
azzeriamo per un istante la distanza dal Kenya e l’alterità rispetto a quel
luogo, Garissa, che fino a giovedì non avevamo sentito nominare; se ignoriamo
il fatalismo irriducibile che ci coglie quando i flagelli si abbattono
sull’Africa, riconosceremo nei cadaveri della fotografia degli studenti in
tutto simili a quello che siamo o siamo stati – riconosceremo noi stessi.
Perché questo è il punto: i ragazzi dell’università di Garissa sono stati
trucidati perché ci assomigliavano, perché cristiani e attratti dalla stessa
cultura universale sulla quale si fonda ogni nostro atto quotidiano. Il loro
peccato imperdonabile era di essere come noi.
Il giorno del massacro una delle studentesse indossava una tunica rossa e gialla, un abito tradizionale; una sua compagna portava invece dei jeans rosa shocking e una felpa all’americana, con il numero cinque impresso sul dorso. I loro corpi sono caduti uno davanti all’altro, a formare un simbolo involontario e triste: la continuità agognata fra due mondi, interrotta dal vuoto macchiato di sangue che si spalanca dopo di loro.
Se potevamo sentirci solo tiepidamente partecipi davanti alle immagini affini dei massacri in Ruanda, stavolta l’esercizio di immedesimazione è un obbligo. Sapremmo tollerare la stessa impietosa prospettiva aerea nei cortili della Sapienza, della Sorbonne, della Humboldt?, che una qualunque delle nostre università venisse trasformata per un giorno in una fossa comune? Io non riesco nemmeno a immaginarlo. Eppure, a quanto pare, è già successo".
Il giorno del massacro una delle studentesse indossava una tunica rossa e gialla, un abito tradizionale; una sua compagna portava invece dei jeans rosa shocking e una felpa all’americana, con il numero cinque impresso sul dorso. I loro corpi sono caduti uno davanti all’altro, a formare un simbolo involontario e triste: la continuità agognata fra due mondi, interrotta dal vuoto macchiato di sangue che si spalanca dopo di loro.
Se potevamo sentirci solo tiepidamente partecipi davanti alle immagini affini dei massacri in Ruanda, stavolta l’esercizio di immedesimazione è un obbligo. Sapremmo tollerare la stessa impietosa prospettiva aerea nei cortili della Sapienza, della Sorbonne, della Humboldt?, che una qualunque delle nostre università venisse trasformata per un giorno in una fossa comune? Io non riesco nemmeno a immaginarlo. Eppure, a quanto pare, è già successo".
Canzone del giorno: There Is A Valley (2012) - Bill Fay
Clicca e ascolta: There is....