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"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

martedì 21 gennaio 2014

Sereno

Ogni qual volta un politico riceve un avviso di garanzia, la sua frase di rito, dinanzi a stampa e televisioni, è sempre, più o meno, la stessa: "Ho la massima fiducia nella giustizia italiana" oppure "Sono sereno, piena fiducia nella magistratura".
Sembra quasi un istinto fisiologico che si materializza con delle tipiche frasi fatte a uso e consumo del pubblico.
Lo scrittore e giornalista Lorenzo Mondo definisce sarcasticamente quest’atteggiamento come "serenità dell'accusato".
Su La Stampa di domenica scorsa riesce a descrivere questa forma di "caos calmo" in maniera chiara: "«Sono sereno», qualcuno si azzarda a dire, anche quando gli tocca un rinvio a giudizio. Una frase che, declinata paritariamente al maschile e al femminile, viene proferita con esibita risolutezza. L’aggettivo è così inflazionato che finisce per assumere proporzioni comiche e diventerà, c’è da crederlo, un contrassegno della moritura Seconda Repubblica".
Chi è costretto a difendersi da gravi accuse, di solito, suda freddo o balbetta, soprattutto qualora si dovesse ritrovare un microfono vicino alle labbra. Questo non accade per i nostri politici che, colpevoli o innocenti che siano, hanno tutti escogitato l'affermato rituale: "Ci si aspetterebbe piuttosto un moto, anche verbale, di indignazione, di rauco, aspro rigetto. Assistiamo invece al dilagare di una presunta serenità, che da quelle persone eminenti pretenderebbe magari di estendersi, rassicurante, all’intero paese. Frutto di una coscienza adamantina o della persuasione che tutto, alla fine, si aggiusterà? In base all’assioma che la somma di tanti colpevoli dà come risultato nessun colpevole?".
La riflessione di Lorenzo Mondo termina con un'interessante osservazione, che va al di là dell'aspetto linguistico: "tanta serenità non trova riscontro nell’animo della stragrande maggioranza dei cittadini, della gente comune. Ai molti assilli provocati dalla congiuntura economica si aggiunge in loro la delusione, la rabbia davanti alla smaccata negazione di ogni responsabalità. E queste sembrano aggravate dall’affermazione «sono sereno» quando occulti un sentimento mentito e abusivo".


Canzone del giorno: Sono più sereno (1998) - Le Vibrazioni
Clicca e ascolta: Sono....


Lorenzo Mondo, Gli accusati sereni (Pane al pane, La Stampa del 19/1/2014)

«Sono sereno» afferma l’esponente politico, il pubblico funzionario, il «grand commis», l’imprenditore che ha ricevuto dai magistrati un avviso di garanzia per episodi di varia, assortita corruzione. «Sono sereno», qualcuno si azzarda a dire, anche quando gli tocca un rinvio a giudizio. Una frase che, declinata paritariamente al maschile e al femminile, viene proferita con esibita risolutezza. L’aggettivo è così inflazionato che finisce per assumere proporzioni comiche e diventerà, c’è da crederlo, un contrassegno della moritura Seconda Repubblica.
Sul fenomeno potranno esercitarsi con profitto, oltre ai politologi, gli antropologi e gli studiosi del linguaggio. Ov- viamente, all’inflazione della parola si accompagna quella dei comportamenti scorretti o criminosi che vengono perseguiti dalla magistratura. Certo, decrittando l’espressione, occorre tenere conto delle reazioni di persone oneste (ne esistono) contro i pregiudizi dei cittadini nei confronti delle «caste» e contro i possibili eccessi dei «giustizieri». Ma le asserzioni autoassolutorie risultano per lo più confutate da inesorabili dati di fatto.
Stupisce, in ogni caso, il ricorso degli imputati a una espressione stereotipa e stucchevole, come se ubbidissero a uno smarrito passaparola. «Sereno» potrebbe essere sostituito da «tranquillo», «fiducioso» e analoghe formulazioni. Ma sembra quasi che, trovandosi in difficoltà, si cerchi conforto in un linguaggio sperimentato e condiviso. Sereno, inoltre, si dice abitualmente di un cielo limpido, senza nubi o foschie. E qualche turbamento, qualche nubecola, dovrebbe pure inquietare chi deve difendersi da gravi accuse. Ci si aspetterebbe piuttosto un moto, anche verbale, di indignazione, di rauco, aspro rigetto. Assistiamo invece al dilagare di una presunta serenità, che da quelle persone eminenti pretenderebbe magari di estendersi, rassicurante, all’intero paese. Frutto di una coscienza adamantina o della persuasione che tutto, alla fine, si aggiusterà? In base all’assioma che la somma di tanti colpevoli dà come risultato nessun colpevole?
Lasciamo perdere le osservazioni non impegnative di ordine linguistico e semantico. Atteniamoci a un dato certo e risolutivo: che tanta serenità non trova riscontro nell’animo della stragrande maggioranza dei cittadini, della gente comune. Ai molti assilli provocati dalla congiuntura economica si aggiunge in loro la delusione, la rabbia davanti alla smaccata negazione di ogni responsabalità. E queste sembrano aggravate dall’affermazione «sono sereno» quando occulti un sentimento mentito e abusivo.