Il rapporto fra giornalisti e
politici non è mai stato idilliaco. Se poi il giornalista fa parte
del servizio pubblico Rai, il tutto (da sempre) è ancora più complicato.
del servizio pubblico Rai, il tutto (da sempre) è ancora più complicato.
Beppe Grillo dichiara che «molti
giornalisti della Rai dovranno in futuro rendere conto della loro omertà, dei
loro attacchi telecomandati, dei loro silenzi». Il leader del Movimento 5
Stelle prosegue la sua crociata contro la stampa in un clima da “resa dei
conti” cui non è gradevole assistere.
La settimana scorsa sono stati tanti
i giornalisti della carta stampata che hanno commentato il voto amministrativo
alla luce del “ridimensionamento” elettorale (calo fisiologico?) del M5S. In quell’occasione Grillo li ha criticati
definendoli “maestrini della penna rossa”, anche quando (ed è accaduto nella
maggior parte dei casi) viene riconosciuto al suo movimento il grande ruolo di
“pungolo”, in un sistema politico ingessato e, spesso, corrotto.
Su La Stampa, Federico Geramicca, ad
esempio, riflette se il flop elettorale del M5S rappresenti uno scampato
pericolo per l’attuale asse governativo che permette, ai partiti tradizionali,
di riprendere fiato: «Nulla di nuovo: chi
vince irride all’avversario, chi perde si lecca le ferite. Ma dietro le
reazioni sarcastiche, sembra trapelare - stavolta - un di più di eccitazione,
quasi un’euforia, che pare spiegarsi - in alcuni casi - con un sentimento che
va oltre la soddisfazione per la semplice sconfitta dell’avversario politico:
l’idea, insomma, che per Grillo e il suo movimento sia cominciata la parabola
discendente (il che, per altro, è possibile), che i «duri e puri» dello scontrino
abbiano i mesi contati e che tra non molto - insomma - si potrà tornare a
suonare la musica di prima».
L’editorialista
tende a differenziare il momento del precedente successo “grillino” da un uso
che di tale consenso il movimento ne ha fatto e, in ogni caso, «sarebbe illusorio immaginare che le ragioni alla base del
consenso ottenuto solo tre mesi fa, si siano eclissate, superate da un positivo
evolvere della situazione. La crisi del M5S, insomma, non cancella e non toglie
drammaticità ai motivi che avevano dato forza al movimento: in particolare non
toglie dal campo l’urgenza di una profonda riforma del sistema politico, del
suo modo di funzionare e della modalità e quantità di risorse pubbliche che vi
vengono destinate».
Geremicca evidenzia la positiva
azione pressante del M5S e, proprio per questo, è importante per l’attuale
Governo andare avanti sulle riforme e non pensare di «averla scampata, tirare un sospiro di
sollievo perché "quei rompiscatole hanno perso e sono finiti", e tornare
all’andazzo di prima. Sarebbe un errore imperdonabile: un po’ come quel malato
che continua ad avere la febbre ma butta via il termometro in modo che, non
potendo misurarla, può illudersi di non averla più».
La Stampa - 29/05/2013
FEDERICO GEREMICCA
Si sono fatti amare poco, e questo è fuori discussione. E il loro capo, Beppe Grillo, è il leader più detestato nella «cittadella politica». In pochi mesi, gli insulti, lo spirito censorio e l’assoluta indisponibilità al confronto, hanno fatto del M5S un corpo estraneo rispetto al sistema politico nel quale - pure - il 24 e 25 febbraio avevano fatto irruzione.
Ce n’era a sufficienza, dunque, perché la prima sconfitta elettorale attirasse sul movimento critiche e commenti al vetriolo. Nulla di nuovo: chi vince irride all’avversario, chi perde si lecca le ferite. Ma dietro le reazioni sarcastiche, sembra trapelare - stavolta - un di più di eccitazione, quasi un’euforia, che pare spiegarsi - in alcuni casi - con un sentimento che va oltre la soddisfazione per la semplice sconfitta dell’avversario politico: l’idea, insomma, che per Grillo e il suo movimento sia cominciata la parabola discendente (il che, per altro, è possibile), che i «duri e puri» dello scontrino abbiano i mesi contati e che tra non molto - insomma - si potrà tornare a suonare la musica di prima.
Il consenso ottenuto dal M5S e l’uso che di quel consenso è stato fatto, sono due cose diverse e meriterebbero due ragionamenti del tutto diversi. Nulla di quanto scritto in queste prime ore può esser contestato, a proposito delle ragioni della sconfitta di Grillo: candidati poco noti, la deludente azione politica - se vogliamo chiamarla così - svolta dai parlamentari eletti, il profilo più nazionale che locale del movimento e il ruolo svolto da Grillo stesso, certo meno presente ed efficace che in occasione delle elezioni politiche. Detto tutto ciò, però, sarebbe illusorio immaginare che le ragioni alla base del consenso ottenuto solo tre mesi fa, si siano eclissate, superate da un positivo evolvere della situazione.
La crisi del M5S, insomma, non cancella e non toglie drammaticità ai motivi che avevano dato forza al movimento: in particolare non toglie dal campo l’urgenza di una profonda riforma del sistema politico, del suo modo di funzionare e della modalità e quantità di risorse pubbliche che vi vengono destinate. Proprio il finanziamento ai partiti è stato - contemporaneamente - il miglior cavallo di battaglia di Grillo e l’affondo più doloroso subito dalle forze politiche tradizionali. Ma se su questo piano qualcosa si è mosso - inutile negarlo - è stato sotto l’azione pressante (e spesso sgradevole, è vero) del M5S; e se qualcosa di nuovo è accaduto anche nelle istituzioni - si pensi al profilo dei Presidenti di Camera e Senato - le ragioni vanno ricercate ancora lì: nel successo delle liste di Grillo (e qui, in fondo, è la vera differenza tra il disertare le urne ed esprimere comunque un voto, anche se di chiara protesta).
Lunedì, mentre venivano chiuse le urne, le agenzie di stampa battevano la notizia della condanna a 3 anni e 4 mesi per Franco Fiorito, che nella sua funzione di capogruppo Pdl alla Regione Lazio si era appropriato di più di un milione di euro dei finanziamenti destinati al suo partito: altri processi sono in arrivano e molti filoni di indagine restano aperti a conferma che anche questa emergenza (oltre alle altre che stringono il Paese) è tutt’altro che superata.
La cosa migliore da fare - ora che anche il Movimento Cinque Stelle è investito da una diversa ma ugualmente profonda crisi - sarebbe dunque andare avanti sulle riforme e sui tagli già annunciati dal governo, così da dimostrare che (Grillo o non Grillo) il sistema è in grado di riformarsi. La cosa peggiore, invece, sarebbe pensare di averla scampata, tirare un sospiro di sollievo perché «quei rompiscatole hanno perso e sono finiti», e tornare all’andazzo di prima. Sarebbe un errore imperdonabile: un po’ come quel malato che continua ad avere la febbre ma butta via il termometro in modo che, non potendo misurarla, può illudersi di non averla più...
Canzone del giorno: Take a Breath (2006) - David Gilmour
Clicca e ascolta: Take....
La Stampa - 29/05/2013
FEDERICO GEREMICCA
Si sono fatti amare poco, e questo è fuori discussione. E il loro capo, Beppe Grillo, è il leader più detestato nella «cittadella politica». In pochi mesi, gli insulti, lo spirito censorio e l’assoluta indisponibilità al confronto, hanno fatto del M5S un corpo estraneo rispetto al sistema politico nel quale - pure - il 24 e 25 febbraio avevano fatto irruzione.
Ce n’era a sufficienza, dunque, perché la prima sconfitta elettorale attirasse sul movimento critiche e commenti al vetriolo. Nulla di nuovo: chi vince irride all’avversario, chi perde si lecca le ferite. Ma dietro le reazioni sarcastiche, sembra trapelare - stavolta - un di più di eccitazione, quasi un’euforia, che pare spiegarsi - in alcuni casi - con un sentimento che va oltre la soddisfazione per la semplice sconfitta dell’avversario politico: l’idea, insomma, che per Grillo e il suo movimento sia cominciata la parabola discendente (il che, per altro, è possibile), che i «duri e puri» dello scontrino abbiano i mesi contati e che tra non molto - insomma - si potrà tornare a suonare la musica di prima.
Il consenso ottenuto dal M5S e l’uso che di quel consenso è stato fatto, sono due cose diverse e meriterebbero due ragionamenti del tutto diversi. Nulla di quanto scritto in queste prime ore può esser contestato, a proposito delle ragioni della sconfitta di Grillo: candidati poco noti, la deludente azione politica - se vogliamo chiamarla così - svolta dai parlamentari eletti, il profilo più nazionale che locale del movimento e il ruolo svolto da Grillo stesso, certo meno presente ed efficace che in occasione delle elezioni politiche. Detto tutto ciò, però, sarebbe illusorio immaginare che le ragioni alla base del consenso ottenuto solo tre mesi fa, si siano eclissate, superate da un positivo evolvere della situazione.
La crisi del M5S, insomma, non cancella e non toglie drammaticità ai motivi che avevano dato forza al movimento: in particolare non toglie dal campo l’urgenza di una profonda riforma del sistema politico, del suo modo di funzionare e della modalità e quantità di risorse pubbliche che vi vengono destinate. Proprio il finanziamento ai partiti è stato - contemporaneamente - il miglior cavallo di battaglia di Grillo e l’affondo più doloroso subito dalle forze politiche tradizionali. Ma se su questo piano qualcosa si è mosso - inutile negarlo - è stato sotto l’azione pressante (e spesso sgradevole, è vero) del M5S; e se qualcosa di nuovo è accaduto anche nelle istituzioni - si pensi al profilo dei Presidenti di Camera e Senato - le ragioni vanno ricercate ancora lì: nel successo delle liste di Grillo (e qui, in fondo, è la vera differenza tra il disertare le urne ed esprimere comunque un voto, anche se di chiara protesta).
Lunedì, mentre venivano chiuse le urne, le agenzie di stampa battevano la notizia della condanna a 3 anni e 4 mesi per Franco Fiorito, che nella sua funzione di capogruppo Pdl alla Regione Lazio si era appropriato di più di un milione di euro dei finanziamenti destinati al suo partito: altri processi sono in arrivano e molti filoni di indagine restano aperti a conferma che anche questa emergenza (oltre alle altre che stringono il Paese) è tutt’altro che superata.
La cosa migliore da fare - ora che anche il Movimento Cinque Stelle è investito da una diversa ma ugualmente profonda crisi - sarebbe dunque andare avanti sulle riforme e sui tagli già annunciati dal governo, così da dimostrare che (Grillo o non Grillo) il sistema è in grado di riformarsi. La cosa peggiore, invece, sarebbe pensare di averla scampata, tirare un sospiro di sollievo perché «quei rompiscatole hanno perso e sono finiti», e tornare all’andazzo di prima. Sarebbe un errore imperdonabile: un po’ come quel malato che continua ad avere la febbre ma butta via il termometro in modo che, non potendo misurarla, può illudersi di non averla più...