Tra i tanti modi possibili per descrivere il
risultato elettorale, scegliamo quella di Stefano Folli, che, su Il Sole 24 Ore
di ieri, parla di “tempesta perfetta” per tratteggiare le attuali condizioni: «La
tempesta perfetta del 25 febbraio sarà ricordata a lungo. Ha prodotto un'Italia
ingovernabile: un'Italia in cui i partiti che negli anni hanno seminato vento
ora raccolgono tempesta. Niente riforme, niente tagli autentici ai costi della
politica, scandali senza tregua, una valanga di misure recessive. Appena ne ha
avuto la possibilità, più di un italiano su cinque è corso a votare Beppe
Grillo con il piacere sadico di rifilare un calcio dove non batte il sole ai
capi e capetti della partitocrazia».
L’editorialista aggiunge, però, che non bisogna dimenticare altre importanti
analisi, prima fra tutti la via che conduce all’Europa, in un’Italia che oggi
sembra voltare le spalle all’Unione a seguito dell’affermarsi della «diffidenza
verso la moneta unica e verso i sacrifici imposti dall’Ue (o dalla Germania?)».
Molti gli interrogativi che la tempesta trascina in lungo e in largo e «si tratta di capire se un modello alternativo è
possibile. In assenza di una maggioranza politica, o meglio con la sola Camera
in grado di esprimerne una (grazie al premio del famigerato
"Porcellum"): laddove è noto che il nostro è tuttora un sistema
bicamerale. Come si pensa di far fronte alla pressione europea e
all'inquietudine dei mercati finanziari? Come si pensa di esorcizzare un possibile
commissariamento da parte della "troika" Unione-Bce-Fmi?».
Canzone del giorno: You're the Storm (2003) - The Cardigans
Clicca e ascolta: You're....
25 febbraio la tempesta perfetta
La tempesta perfetta del 25 febbraio sarà ricordata a lungo. Ha prodotto un'Italia ingovernabile: un'Italia in cui i partiti che negli anni hanno seminato vento ora raccolgono tempesta. Niente riforme, niente tagli autentici ai costi della politica, scandali senza tregua, una valanga di misure recessive. Appena ne ha avuto la possibilità, più di un italiano su cinque è corso a votare Beppe Grillo con il piacere sadico di rifilare un calcio dove non batte il sole ai capi e capetti della partitocrazia.
Questa almeno è una lettura del risultato di ieri. Ma non è l'unica. Un'altra conduce all'Europa, la cui immagine non è mai stata così negativa e respingente. L'Italia, Paese fondatore della Comunità e uno fra i più sinceramente favorevoli all'integrazione, oggi sembra voltare le spalle all'Unione. La diffidenza verso la moneta unica e verso i sacrifici imposti dalla Ue (o dalla Germania?) ha prodotto una novità senza precedenti nella nostra storia politica: un Parlamento in cui il sentimento anti-europeista diventa per la prima volta maggioritario. Accade se si sommano i voti raccolti da Grillo alla maggior parte dei consensi rastrellati da Berlusconi grazie a una campagna elettorale di eccezionale vigore ed efficacia.
Questa singolare convergenza nel segno del principio che «un'altra Europa è possibile» è, come ovvio, molto significativa. Perché in attesa di trovarla, questa nuova Europa, essa si traduce in ostilità dichiarata verso le istituzioni comunitarie attuali. È la convergenza di diversi ma non dissimili populismi, diffidenti o francamente contrari all'Unione.
E non solo: costituisce il paradigma per altre sintonie che peseranno nelle nuove Camere in forme oggi del tutto insondabili.
Forse era inevitabile. Il Nobel Paul Krugman ha scritto che le elezioni in Italia erano un referendum sull'austerity, cioè sulle politiche di rigore economico. È così. E il referendum è stato perso dai "rigoristi", capeggiati da Monti, anche perché la loro medicina si è dimostrata troppo amara per un'opinione pubblica che non vedeva l'ora di scrollarsi di dosso un anno e più di «lacrime e sangue», senza una prospettiva chiara di ripresa.
Questa singolare convergenza nel segno del principio che «un'altra Europa è possibile» è, come ovvio, molto significativa. Perché in attesa di trovarla, questa nuova Europa, essa si traduce in ostilità dichiarata verso le istituzioni comunitarie attuali. È la convergenza di diversi ma non dissimili populismi, diffidenti o francamente contrari all'Unione.
E non solo: costituisce il paradigma per altre sintonie che peseranno nelle nuove Camere in forme oggi del tutto insondabili.
Forse era inevitabile. Il Nobel Paul Krugman ha scritto che le elezioni in Italia erano un referendum sull'austerity, cioè sulle politiche di rigore economico. È così. E il referendum è stato perso dai "rigoristi", capeggiati da Monti, anche perché la loro medicina si è dimostrata troppo amara per un'opinione pubblica che non vedeva l'ora di scrollarsi di dosso un anno e più di «lacrime e sangue», senza una prospettiva chiara di ripresa.
Ora, s'intende, si tratta di capire se un modello alternativo è possibile. In assenza di una maggioranza politica, o meglio con la sola Camera in grado di esprimerne una (grazie al premio del famigerato "Porcellum"): laddove è noto che il nostro è tuttora un sistema bicamerale. Come si pensa di far fronte alla pressione europea e all'inquietudine dei mercati finanziari? Come si pensa di esorcizzzare un possibile commissariamento da parte della "troika" Unione-Bce-Fmi?