L’obesità
è una delle patologie più diffuse nei paesi industrializzati, al punto da
essere considerata una vera e propria epidemia.
I dati
che riguardano il nostro paese sono sconfortanti.
In questi anni siamo riusciti
a posizionarci al vertice europeo. Secondo l’Istat, il 10 per cento della
popolazione italiana è obesa e si prevede che, fra dieci anni, la percentuale
potrebbe superare il 40 per cento.
Il
cambiamento delle nostre abitudini alimentari e la ridotta attività fisica
hanno fatto in modo che gli italiani (e soprattutto tantissimi bambini)
divenissero più tondi e con tanti chili di troppo causa di molte malattie.
Curzio
Maltese nella sua rubrica settimanale su Il Venerdì di Repubblica, descrive la
situazione in modo allarmistico: «Siamo un Paese che sta allevando una generazione di obesi, i ragazzini
italiani sono i più grassi d'Europa. L'unico dove i quarantenni fanno più sport
dei ventenni, perché le strutture mancano, le palestre, le piscine, i campi da
tennis costano, e da Roma in giù lo sport è affare di pochissimi (…). Nella
scuola italiana la pratica sportiva è l'ultimo dei problemi. Non si trovano
soldi per la carta igienica, le fotocopie e gli insegnanti di sostegno ai
bambini autistici, figurarsi se possiamo angosciarci con l'assenza di campi,
palestre e piscine».
La sana attività fisica va lentamente
scomparendo nella maggior parte dei giovani.
La sublime dieta mediterranea cede il
passo a merendine, cibi grassi e bibite zuccherate.
Anche nello sport l'Italia è
diventata un paese di serie B
di CURZIO MALTESE
Passata la carnevalata olimpica, si potrebbe provare a
ragionare sullo sport in Italia. Siamo un Paese che sta allevando una
generazione di obesi, i ragazzini italiani sono i più grassi d'Europa. L'unico
dove i quarantenni fanno più sport dei ventenni, perché le strutture mancano,
le palestre, le piscine, i campi da tennis costano, e da Roma in giù lo sport è
affare di pochissimi, al massimo si menano le mani in un centro di boxe, come
la Marcianise raccontata da Roberto Saviano.
Nei grandi sport globali, di massa, dall'atletica al nuoto, non esistiamo più né a livello agonistico né a livello di base. Rimane il dio pallone, l'unico autentico culto nazionale. Il gioco che da solo garantisce il 40 per cento della pratica sportiva in Italia e il 90 per cento dei fondi per lo sport.
Ma anche qui i segni del declino sono evidenti e irreversibili. Il professionismo è sull'orlo del fallimento. I grandi club hanno accumulato montagne di debiti. L'estate del mercato del calcio ha detto che Juventus, Inter, Milan, Roma, Napoli sono uscite definitivamente dal circuito dei grandi club europei, in grado di aggiudicarsi i migliori giocatori all'asta milionaria.
L'ex campionato più bello del mondo sta diventando un campionato di medio valore continentale. Questo ha un effetto a cascata sui campionati minori, dilettanteschi, giovanili. Senza contare che il nostro è il campionato più corrotto del mondo, con uno scandalo scommesse ormai a cadenza annuale.
E se crolla il calcio, in Italia frana tutto lo sport, dal Coni all'ultima palestra di provincia. Ora, uno potrebbe serenamente fregarsene, si può vivere bene senza coppe calcistiche e medaglie olimpiche. Si campa invece peggio pensando che tuo figlio avrà un'aspettativa di vita inferiore alla tua, perché mangia troppe schifezze e non fa abbastanza movimento. Il problema centrale, come sempre, è la scuola.
Nella scuola italiana la pratica sportiva è l'ultimo dei problemi. Non si trovano soldi per la carta igienica, le fotocopie e gli insegnanti di sostegno ai bambini autistici, figurarsi se possiamo angosciarci con l'assenza di campi, palestre e piscine. Gianni Petrucci, presidente del Coni, mi ha detto a Londra che col nostro sistema scolastico non si va da nessuna parte.
In metà Europa il nuoto è obbligatorio fin dalle elementari, per fare un esempio. Non investire nello sport scolastico non è un risparmio, al contrario è un sistema per spendere dieci volte tanto nell'assistenza sanitaria. Ma è un discorso che non buca lo schermo della telepolitica.
Nelle campagne elettorali italiane l'istruzione, la formazione delle nuove generazioni, sono un tema del tutto marginale. Nel resto d'Europa è quello che fa la differenza fra la vittoria e la sconfitta.
Nei grandi sport globali, di massa, dall'atletica al nuoto, non esistiamo più né a livello agonistico né a livello di base. Rimane il dio pallone, l'unico autentico culto nazionale. Il gioco che da solo garantisce il 40 per cento della pratica sportiva in Italia e il 90 per cento dei fondi per lo sport.
Ma anche qui i segni del declino sono evidenti e irreversibili. Il professionismo è sull'orlo del fallimento. I grandi club hanno accumulato montagne di debiti. L'estate del mercato del calcio ha detto che Juventus, Inter, Milan, Roma, Napoli sono uscite definitivamente dal circuito dei grandi club europei, in grado di aggiudicarsi i migliori giocatori all'asta milionaria.
L'ex campionato più bello del mondo sta diventando un campionato di medio valore continentale. Questo ha un effetto a cascata sui campionati minori, dilettanteschi, giovanili. Senza contare che il nostro è il campionato più corrotto del mondo, con uno scandalo scommesse ormai a cadenza annuale.
E se crolla il calcio, in Italia frana tutto lo sport, dal Coni all'ultima palestra di provincia. Ora, uno potrebbe serenamente fregarsene, si può vivere bene senza coppe calcistiche e medaglie olimpiche. Si campa invece peggio pensando che tuo figlio avrà un'aspettativa di vita inferiore alla tua, perché mangia troppe schifezze e non fa abbastanza movimento. Il problema centrale, come sempre, è la scuola.
Nella scuola italiana la pratica sportiva è l'ultimo dei problemi. Non si trovano soldi per la carta igienica, le fotocopie e gli insegnanti di sostegno ai bambini autistici, figurarsi se possiamo angosciarci con l'assenza di campi, palestre e piscine. Gianni Petrucci, presidente del Coni, mi ha detto a Londra che col nostro sistema scolastico non si va da nessuna parte.
In metà Europa il nuoto è obbligatorio fin dalle elementari, per fare un esempio. Non investire nello sport scolastico non è un risparmio, al contrario è un sistema per spendere dieci volte tanto nell'assistenza sanitaria. Ma è un discorso che non buca lo schermo della telepolitica.
Nelle campagne elettorali italiane l'istruzione, la formazione delle nuove generazioni, sono un tema del tutto marginale. Nel resto d'Europa è quello che fa la differenza fra la vittoria e la sconfitta.