Canzone del giorno: Il Gioco d'azzardo (1982) - Paolo Conte
Clicca e ascolta: http://www.youtube.com/watch?v=ufp65E9OEC8Ritorniamo sul tema del gioco e delle scommesse (legali e non).
Per un grande
numero di italiani slot machine e svaghi online non rappresentano più, come si
diceva una volta, un vizio dannoso ma una vera e propria patologia compulsiva.
Si stima che più
di 700 mila persone sono costrette, ogni anno, a ricorrere alle strutture
sanitarie.
La dipendenza dal
gioco d’azzardo rappresenta, quindi, un vero e proprio costo sociale che
coinvolge famiglie e individui di ogni classe sociale.
Poi non bisogna
dimenticare anche l’aspetto di costume, che riguarda un po’ tutti: la brama di far fortuna affidandosi alla sorte. Come ogni pulsione
umana la sindrome da gioco travalica, spesso, i normali canoni del buonsenso.
Il giornalista Giuseppe De Bellis ha dedicato all'argomento, qualche
settimana fa, un articolo che vi segnaliamo (clicca qui sotto) in quanto offre apprezzabili
spunti di riflessione.
Scommettere è peccato. Peccato che in Italia scommettano
tutti
Il gioco d’azzardo finanzia lo Stato e lo sport. E nessuno di noi resiste
di Giuseppe De Bellis – da Il Giornale del 29 dicembre 2011
La scena può
essere questa: in coda in una qualunque agenzia di scommesse o in una qualsiasi
ricevitoria del lotto o una tabaccheria a caso per prendere un gratta e vinci,
l’italiano medio legge il giornale e si indigna.
C’è l’ultimo scandalo
calcioscommesse. C’è l’ennesima puntata della vergogna dei calciatori corrotti.
L’articolo racconta di Gervasoni che parla di tre partite di A truccate.
Nella pagina
accanto c’è un’enorme pubblicità di una società di betting, cioè di scommesse.
È il grande paradosso nel quale viviamo. La cronaca ci mette di fronte alle
storie di un manipolo di potenziali farabutti malati della stessa malattia che
contagia milioni di italiani: il gioco. Siamo immersi nella cultura della
scommessa, della vittoria facile, del sogno che si realizza, la vincita
multimilionaria al SuperEnalotto o il vitalizio da seimila euro al mese per
vent’anni di «Win for Life ».
In coda ci sono
milioni di persone: gli ultimi dati raccontano che quest’anno gli italiani
hanno speso 76,5 miliardi di euro al gioco. È l’equivalente delle ultime tre
manovre finanziarie. Soprattutto è una cifra mai raggiunta prima: rispetto
all’anno precedente le giocate sono aumentate di 15 miliardi, che in
percentuale fa il 24 per cento. Cioè: si risparmia su tutto, o quasi, però si
gioca sempre e comunque. Gli psicologi metteranno in relazione le cose: c’è
crisi, la gente ci prova. Possibile, anche se un po’ autoassolutorio. La verità
è che rischiare ci piace, è evidente.
Sarà
l’emozione, sarà l’adrenalina, sarà il desiderio, sarà l’irrefrenabile voglia
di diventare ricchi con la fortuna. Ci sono amici che si fiondano in una
agenzia di scommesse per giocarsi tre euro sulle partite del calcio belga. Ci
sono altri che col caffè, ogni mattina, si comprano un «turista per sempre ».
Sono gli stessi
che si indignano per la cricca del malaffare pallonaro che avrebbe taroccato le
partite del campionato. Per carità, giusto arrabbiarsi: quei giocatori svendono
l’amore della gente, distruggono le nostre passioni, avvelenano i pozzi dei
nostri sogni. Soprattutto, sono dei bari e i bari fanno schifo. Però il
paradosso c’è. C’è a ogni svincolo di questa storia: c’è nel mondo del pallone
perché per i tesserati delle squadre di calcio sarebbe vietato scommettere, ma
poi molte squadre prendono soldi da sponsor che di mestiere fanno proprio
scommesse.
La Juventus è
sponsorizzata da BetClic, il Lecce da BetItaly. All’estero il Real Madrid e il
Bayern Monaco hanno sulla maglia il lobo Bwin. Da noi c’è persino la lega di
Serie B che è totalmente sponsorizzata da una società di betting. Da anni si
chiama proprio SerieBwin. Ovvio che i calciatori sbagliano. Ovvio che le loro
telefonate, i loro accordi, le loro meschinerie siano una vergogna per lo sport
e per l’Italia. Loro sono il parente ricco ma viscido che alla tombola di
Natale tiene il tabellone e tira fuori i numeri sbirciando pur vincere dieci
euro. Loro sono il male, ma noi non trascuriamo le incongruenze del caso.
Perché di contraddizione in contraddizione arriviamo ovunque.
Possiamo
arrivare allo Stato, che attraverso i giochi, quest’anno, ha incassato quasi
dieci miliardi di euro. Pensate che interessi o no all’erario che la gente
spenda i suoi denari per tentare la fortuna? Pensate che al ministero delle
Finanze, che amministra i Monopoli, che amministrano i giochi, faccia comodo o
no che gli italiani si divertano a provarci? Lo Stato è il banco e il banco
vince sempre. È la grande incoerenza nella quale siamo invischiato: a noi piace
giocare, al Paese conviene, poi ci accorgiamo che rischia di diventare una
piaga sociale, poi ci svegliamo e vediamo che ci sono i venduti che taroccano
tutto. Per salvarsi la coscienza si sono inventati lo slogan: gioca
responsabilmente.
Lo scrivono
ovunque con la speranza che poi nessuno segua l’indicazione. Perché conviene a
tutti che gli italiani spendano il più possibile.
Se non ci
fermiamo allo Stato arriviamo altrove: agli altri sport, per esempio. Quelli
dove non girano gli stessi denari del pallone, quelli che adesso giustamente si
arrabbiano perché loro sono puliti, ma che si reggono grazie alla percentuale
del volume delle scommesse che lo Stato gira loro attraverso il Coni. E dove si
fa il volume massimo di giocate?
Sul calcio. È
tutto un controsenso nel quale affondano le radici delle responsabilità
precise. Perché dei colpevoli chiari esistono: sono i venduti che distruggono
lo sport per avidità personale. Però loro e noi siamo immersi nel mare del
delirio da gioco: che non è un male per forza, che non è il Demonio. Ci
conviviamo, coscientemente. Indignati. Incoerenti.