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"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

venerdì 27 gennaio 2012

Scommettere


Canzone del giorno: Il Gioco d'azzardo (1982) - Paolo Conte
Clicca e ascolta: http://www.youtube.com/watch?v=ufp65E9OEC8

Ritorniamo sul tema del gioco e delle scommesse (legali e non).
Per un grande numero di italiani slot machine e svaghi online non rappresentano più, come si diceva una volta, un vizio dannoso ma una vera e propria patologia compulsiva.
Si stima che più di 700 mila persone sono costrette, ogni anno, a ricorrere alle strutture sanitarie.
La dipendenza dal gioco d’azzardo rappresenta, quindi, un vero e proprio costo sociale che coinvolge famiglie e individui di ogni classe sociale.
Poi non bisogna dimenticare anche l’aspetto di costume, che riguarda un po’ tutti: la brama di far fortuna affidandosi alla sorte. Come ogni pulsione umana la sindrome da gioco travalica, spesso, i normali canoni del buonsenso.
Il giornalista Giuseppe De Bellis ha dedicato all'argomento, qualche settimana fa, un articolo che vi segnaliamo (clicca qui sotto) in quanto offre apprezzabili spunti di riflessione.



Scommettere è peccato. Peccato che in Italia scommettano tutti
Il gioco d’azzardo finanzia lo Stato e lo sport. E nessuno di noi resiste
di Giuseppe De Bellis – da Il Giornale del 29 dicembre 2011

La scena può essere questa: in coda in una qualunque agenzia di scommesse o in una qualsiasi ricevitoria del lotto o una tabaccheria a caso per prendere un gratta e vinci, l’italiano medio legge il giornale e si indigna.
C’è l’ultimo scandalo calcioscommesse. C’è l’ennesima puntata della vergogna dei calciatori corrotti. L’articolo racconta di Gervasoni che parla di tre partite di A truccate.
Nella pagina accanto c’è un’enorme pubblicità di una società di betting, cioè di scommesse. È il grande paradosso nel quale viviamo. La cronaca ci mette di fronte alle storie di un manipolo di potenziali farabutti malati della stessa malattia che contagia milioni di italiani: il gioco. Siamo immersi nella cultura della scommessa, della vittoria facile, del sogno che si realizza, la vincita multimilionaria al SuperEnalotto o il vitalizio da seimila euro al mese per vent’anni di «Win for Life ».
In coda ci sono milioni di persone: gli ultimi dati raccontano che quest’anno gli italiani hanno speso 76,5 miliardi di euro al gioco. È l’equivalente delle ultime tre manovre finanziarie. Soprattutto è una cifra mai raggiunta prima: rispetto all’anno precedente le giocate sono aumentate di 15 miliardi, che in percentuale fa il 24 per cento. Cioè: si risparmia su tutto, o quasi, però si gioca sempre e comunque. Gli psicologi metteranno in relazione le cose: c’è crisi, la gente ci prova. Possibile, anche se un po’ autoassolutorio. La verità è che rischiare ci piace, è evidente.
Sarà l’emozione, sarà l’adrenalina, sarà il desiderio, sarà l’irrefrenabile voglia di diventare ricchi con la fortuna. Ci sono amici che si fiondano in una agenzia di scommesse per giocarsi tre euro sulle partite del calcio belga. Ci sono altri che col caffè, ogni mattina, si comprano un «turista per sempre ».
Sono gli stessi che si indignano per la cricca del malaffare pallonaro che avrebbe taroccato le partite del campionato. Per carità, giusto arrabbiarsi: quei giocatori svendono l’amore della gente, distruggono le nostre passioni, avvelenano i pozzi dei nostri sogni. Soprattutto, sono dei bari e i bari fanno schifo. Però il paradosso c’è. C’è a ogni svincolo di questa storia: c’è nel mondo del pallone perché per i tesserati delle squadre di calcio sarebbe vietato scommettere, ma poi molte squadre prendono soldi da sponsor che di mestiere fanno proprio scommesse.
La Juventus è sponsorizzata da BetClic, il Lecce da BetItaly. All’estero il Real Madrid e il Bayern Monaco hanno sulla maglia il lobo Bwin. Da noi c’è persino la lega di Serie B che è totalmente sponsorizzata da una società di betting. Da anni si chiama proprio SerieBwin. Ovvio che i calciatori sbagliano. Ovvio che le loro telefonate, i loro accordi, le loro meschinerie siano una vergogna per lo sport e per l’Italia. Loro sono il parente ricco ma viscido che alla tombola di Natale tiene il tabellone e tira fuori i numeri sbirciando pur vincere dieci euro. Loro sono il male, ma noi non trascuriamo le incongruenze del caso. Perché di contraddizione in contraddizione arriviamo ovunque.
Possiamo arrivare allo Stato, che attraverso i giochi, quest’anno, ha incassato quasi dieci miliardi di euro. Pensate che interessi o no all’erario che la gente spenda i suoi denari per tentare la fortuna? Pensate che al ministero delle Finanze, che amministra i Monopoli, che amministrano i giochi, faccia comodo o no che gli italiani si divertano a provarci? Lo Stato è il banco e il banco vince sempre. È la grande incoerenza nella quale siamo invischiato: a noi piace giocare, al Paese conviene, poi ci accorgiamo che rischia di diventare una piaga sociale, poi ci svegliamo e vediamo che ci sono i venduti che taroccano tutto. Per salvarsi la coscienza si sono inventati lo slogan: gioca responsabilmente.
Lo scrivono ovunque con la speranza che poi nessuno segua l’indicazione. Perché conviene a tutti che gli italiani spendano il più possibile.
Se non ci fermiamo allo Stato arriviamo altrove: agli altri sport, per esempio. Quelli dove non girano gli stessi denari del pallone, quelli che adesso giustamente si arrabbiano perché loro sono puliti, ma che si reggono grazie alla percentuale del volume delle scommesse che lo Stato gira loro attraverso il Coni. E dove si fa il volume massimo di giocate?
Sul calcio. È tutto un controsenso nel quale affondano le radici delle responsabilità precise. Perché dei colpevoli chiari esistono: sono i venduti che distruggono lo sport per avidità personale. Però loro e noi siamo immersi nel mare del delirio da gioco: che non è un male per forza, che non è il Demonio. Ci conviviamo, coscientemente. Indignati. Incoerenti.