Scruto il mio erede di cinque anni con circospezione: ho appena letto l’intervista al Corriere in cui Annamaria Bernardini De Pace suggerisce di non lasciare nulla ai figli finché si è in vita e possibilmente neanche dopo, spendendo in alberghi di lusso il poco o tanto che si è messo in cascina. (Hanno diritto alla legittima, ma la legittima di 0 è 0). La sua tesi è che un figlio sarà disposto ad accudire la tua vecchiaia solo se pensa di poterci lucrare ancora qualcosa. Se invece ha già avuto quasi tutto quel che gli spetta, ti abbandonerà senza rimorsi al tuo destino. Non ho motivo di dubitare delle sue parole: un’avvocata specializzata in baruffe ereditarie parla il linguaggio dell’esperienza, corroborata dalla recente testimonianza di Reinhold Messner, più a suo agio con i picchi dell’Himalaya che con i saliscendi delle dinamiche familiari. Qui però subentra anche la mia, di esperienza: il dialogo con i cuori sanguinanti della posta del cuore mi ha insegnato che in amore, alla fine, vince chi ama. Persino quando perde. Questo principio vale ancora di più con i figli: di regola ti restituiscono sempre, almeno in parte, il tempo e l’affetto che hanno ricevuto. Solo quelli che hanno ricevuto poco dell’uno e dell’altro sono interessati esclusivamente ai soldi. Come dice Diego De Silva, i figli non basta farli: poi bisogna anche adottarli. Per non dover dare ragione alla Bernardini De Pace ed essere tentati, un giorno, di diseredarli.
Massimo Gramellini, Il Caffè (Corriere della Sera -27/7/2024)
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