Quando nella seconda metà del secolo scorso letteratura e cinema hanno parlato di "incomunicabilità" deve essere stato per una specie di paradossale febbre di crescita. La diffusione dell'istruzione (dall'alfabetismo sino all'erudizione) era ormai capillare, i media erano tecnologicamente avanzati e insomma in Italia non si era mai "comunicato" tanto. In quest'altro secolo gli strumenti di cui disponiamo per comunicare sono ulteriormente aumentati, e in quantità smisurata e inattesa. Eppure l'impressione è quella di non capirci molto l'uno con l'altro. Cellulari, poi smartphone; sms, email, chat, social network. Si pensava che potesse essere una Pentecoste, ed è stata una Babele. I nuovi media hanno promosso anche nuovi linguaggi mutuamente esclusivi e solo pochi poliglotti si rivelano capaci di passare dall'uno all'altro. Questo capita soprattutto, ma non esclusivamente, tra le generazioni. […] Prima del Duemila quante volte avevate sentito parlare di "piattaforma"? A parte gli esperti petroliferi, gli appassionati di tuffi olimpici, i sindacalisti, i politici e i cultori di Elio e le Storie tese, la piattaforma riguardava pochi. Oggi è tutta una piattaforma. Quello che succede è che dove sono intervenute le piattaforme, per esempio nella comunicazione giornalistica (in quella libraria ci stiamo arrivando, e per la via peggiore), la centralità non è stata più data al messaggio - il che spiega anche le tremende inaccuratezze di quasi ogni editing. Non è il testo che conta. Quel che importa sono i contatti, e capirete perché sinora ho insistito tanto sulla parola. I contatti contano poiché si contano. Il fatto è quasi automatico: quando la comunicazione trova una "metrica" e la relazione comunicativa viene enumerata (in tv successe con l'Auditel), il testo diventa funzione del contatto stesso. Quindi, che fare? Quali linguaggi futuri dovranno sostituire i linguaggi che oggi sono nuovi, e sembrano incapaci di raggiungere qualcuno che è fuori dalla nostra bolla? La nuova incomunicabilità ci richiede capacità di gioco, di consapevolezza e di traduzione.
Stefano Bartezzaghi, la Repubblica (19/9/2023)
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