Il blocco parziale dell’aeroporto di Catania inchioda la Sicilia alla sua pessima situazione infrastrutturale. Chi viene dirottato a Trapani impiega cinque ore per tornare verso la costa orientale, poco meno per chi atterra a Palermo. Si leggono cronache di una regione infartuata da incendi e antiche inefficienze e ci si domanda, inevitabilmente, perché mai il dibattito politico sia sempre e comunque incentrato sul fantasmatico Ponte (del quale già si parlava come cosa fatta sulle copertine dei rotocalchi negli anni Sessanta) e ignori una realtà quotidiana fatta di eterni ritardi, rassegnazione, vassallaggio a questo o quel vice-potente nella speranza che “si faccia sentire a Roma”. Di questa Sicilia non si parla, nessuno a Porta a Porta ha mai portato il plastico di un viadotto incompiuto o di un acquedotto bucato. È sempre il solito problema, il do di petto entusiasma, il resto dell’opera sembra quasi una trascurabile appendice — è invece la sostanza. E il resto dell’opera è la Sicilia tutta intera, il suo territorio, le sue strade mancanti e le sue ferrovie caracollanti. Cose che rimangono in ombra fino a che qualche accidente, come gli incendi di questi giorni, rende evidente quali sono le urgenze, quali le necessità, quali le cose fattibili e dunque da fare. Ma appena spenti gli incendi, riaperto l’aeroporto e rientrata l’emergenza, si riparlerà di un Ponte che forse è tecnicamente irrealizzabile, forse costerebbe come rifare nuova l’isola intera, forse non si farà mai: ma vuoi mettere quanto vale, in termini di propaganda, immaginare lo Stretto con quella retta che lo sorvola, e tutto il resto lasciarlo al suo corso tortuoso, faticoso, mortificante?
Michele Serra, l'Amaca - la Repubblica (29/7/2023)
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