Mi preoccupano gli appelli a favore della didattica a distanza lanciati da alcuni collettivi studenteschi. Dopo l’esperienza terribile della pandemia, come si fa a non capire che le lezioni virtuali danneggiano soprattutto gli studenti? L’autentico insegnamento, si sa, non può prescindere dall’esperienza umana e intellettuale che si compie nelle aule, ogni giorno, in un mondo vivo e reale, fatto di incontri e scambi concreti tra professori e discenti. Ridurre questa esperienza a una relazione virtuale significherebbe trasformare l’istruzione in uno sterile mercato di lauree e diplomi e gli studenti in clienti da fidelizzare. In diversi atenei la cosiddetta didattica mista si è rivelata un fallimento: molti dei posti disponibili sono rimasti vuoti. Dopo quasi due anni di incertezza, ora è importante riconquistare la «postura» smarrita: svegliarsi al mattino e arrivare a lezione in orario educa a gestire con rigore le proprie responsabilità. Prorogare il doppio regime (presenziale e telematico) laddove non è necessario, significa ritardare il ritorno alla normalità e sostenere una pericolosa istruzione on demand. Anziché cavalcare l’onda del virtuale, sarebbe opportuno per gli studenti rivendicare un radicale cambio di passo: la necessità di avere buoni insegnanti, il diritto di studiare per diventare migliori e non solo per apprendere un mestiere, il ritorno a un’educazione libera dalle pressioni del mercato e del profitto, la garanzia di frequentare edifici sicuri, la certezza del sostegno a coloro che hanno problemi economici o che sono affetti da disabilità. Se non si riducono le ataviche disuguaglianze, è illusorio parlare di «merito». L’autentico merito presuppone delle precondizioni che, contro i privilegi sociali e di casta, puntano ad offrire a tutti le stesse opportunità. Destinare i fondi del Pnrr solo al digitale non servirà a favorire un’istruzione di qualità per formare cittadini colti e dotati di senso critico.
Nuccio Ordine, Corriere della Sera (2/11/2022)
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