Putin non c’entra: intere marce pacifiste mostrano di non sapere neppure che esiste oppure che abbia un ruolo da discutere, in tutta questa enorme e tragica vicenda. La storia dell’aggressore e dell’aggredito è stata accantonata da un pezzo con un po’ di fastidio (sì, e allora?) oppure rimossa del tutto perché non serve a celebrare la pace, anzi porta umori aggressivi, di guerra. È una affermazione che scarica dannosi sentimenti di vendetta. Inoltre più ti interessi di guerra (chi spara, chi muore, chi scappa) più ti distacchi dal popolo, che respinge la guerra (ti dicono gli intenditori di popoli) e vuole la pace perché non gli interessa nulla di tutto quello che cercano di portarsi via a vicenda i contendenti. Trasformata in questo modo, la celebrazione della pace, quando qualcuno sta morendo sotto i colpi di un attacco violento, cambia di colpo il paesaggio: l’attaccante diventa parte della natura (le cose succedono e non puoi correre dietro a tutto e pretendere di controllare tutto) e l’aggredito, con il tentativo di difendersi, diventa — anche se perde — il vero agente di violenza in questa scena, specialmente se insiste e resiste. Fa male a se stesso e fa male agli altri, insomma è la guerra. Il caso si complica se qualcuno corre in soccorso. Primo, prolunga i combattimenti e ci spinge verso il rischio che la mattanza non finisca più. Secondo, mentre i nuovi pacifisti non mostrano alcun interesse per chi ha iniziato la guerra (il loro pensiero è che, siccome la guerra c’è già, è alla pace che bisogna pensare, non alle possibili cause o ragioni di una guerra che non serve discutere) sono attentissimi verso chi corre in soccorso. Credono di sapere con certezza che quello è il punto in cui tutto comincia davvero, e dunque lo spazio che il pacifismo deve occupare per fare davvero la pace. Terzo, il soccorritore, è l’avversario da respingere in quanto produttore di guerra. In questo senso il nuovo pacifismo è implacabile. Se ti interessa la pace devi avere come avversario chi, invece della pace, vuole protezione di chi è sotto i colpi di una invasione. Naturalmente il soccorritore si impegnerà a inviare strumenti di difesa. E a questo punto il nuovo pacifismo si sente il dovere di condannare la catena dei soccorsi in quanto mercato delle armi, ovviamente interessato e deliberatamente orientato agli affari e allaguerra, che diventa il male. Siamo dunque rapidamente discesi, lungo una scala bene organizzata, dal livello dell’invasione armata di un Paese indifeso a quello della difesa deliberatamente messa in atto perché ci sia più guerra. Ovvio che questa incredibile situazione non è un progetto del pacifismo come valore e come speranza. È un trappolone nel quale una rete molto abile di personaggi, ancora ben radicati nell’antica guerra fredda, è riuscita a spingere e a trattenere una massa di giovani (molti cattolici) forse troppo giovani per riconoscere il linguaggio dei tempi in cui “il male assoluto” non era il regime sovietico ma erano gli Stati Uniti in quanto leader di un capitalismo antisovietico (l’America d a Roosevelt a Kennedy a Carter per intenderci). Ma se uno dei protagonisti è l’America, entra in scena l’utile strumento del servilismo. Ogni obbedienza ai suggerimenti e gli strumenti americani per parare le botte del nuovo tipo di attacco, viene visto come servile sottomissione agli affari americani e alla volontà americana.
Furio Colombo, La Repubblica (4/6/2022)
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