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"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

domenica 10 ottobre 2021

Cortina di ferro

Le infinite vie dei migranti scoprono nuovi accessi. Per chiuderli scatta il riflesso condizionato del muro. Possibilmente a spese dell’Ue, visto che vogliono entrare in Europa. Non è passato nemmeno un quarto di secolo da che fu abbattuto il “Muro” che tagliava barbaramente la Germania e, per estensione, spezzava in due l’Europa: la “cortina di ferro”. La memoria è molto corta: adesso sono proprio i Paesi che ne erano imprigionati a voler essere dentro un nuovo muro. Dal complesso del carcere a quello della fortezza. Dovrebbe proteggere le nostre floride democrazie dall’arrivo dei poveri del mondo, compresi gli aventi diritto all’asilo politico. Sono stati i ministri dell’Interno di Austria, Cipro, Danimarca, Grecia, Lituania, Polonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia e Slovacchia a chiedere «strumenti per proteggere le frontiere esterne dai flussi migratori incontrollati provenienti da Africa e Medio Oriente, anche col finanziamento di nuove recinzioni e barriere». L’Ue, per bocca della commissaria Ylva Johansson (svedese), ha fatto il pesce in barile: lo facciano pure ma con i loro soldi, non con quelli di Bruxelles. Johansson è stata formalmente ineccepibile. Ha detto che gli Stati membri hanno il diritto di costruire “recinzioni e strutture di protezione”, invocando la necessità di proteggere i confini esterni dell’Ue. Non ha specificato da chi, forse pensava alla mitica difesa europea. Ha sorvolato sul peccato originale di Bruxelles che dalla crisi del 2015 non ha saputo darsi una comune politica europea su migranti e rifugiati. Non si è avventurata sul terreno scivoloso del simbolismo valoriale di un muro. Che elimina ogni parvenza di solidarietà europea in materia di migrazioni e asilo. La nozione di barriera anti-migranti si attaglia a confini terrestri, a meno di non volerne erigere lungo spiagge e intorno a isole. Mal si capisce che vantaggio ne trarrebbero Cipro e Grecia che hanno appena respirato di sollievo post-Covid per il ritorno dei turisti sulle loro coste. Di conseguenza, i Paesi con confini marittimi, specie mediterranei, continuerebbero a ricevere sbarchi come prima e a essere sottoposti alla “regola di Dublino” per gli asili – lo si chiede dove si arriva; quelli con confini terrestri o prevalentemente terrestri terrebbero migranti e rifugiati fuori territorio grazie alla nuova barriera fisica. Niente Dublino per loro. Il motivo della levata di scudi non è difficile da capire. La compiacente connivenza del dittatore bielorusso, Alexander Lukashenko, ha portato un rigagnolo di migranti africani ai confini di Polonia, Lituania e Lettonia. In Europa si aggira lo spettro delle fughe dall’Afghanistan e della riapertura del rubinetto turco. Paesi Ue che si ritenevano al riparo da arrivi diretti si accorgono di poter finire in prima linea. Eccoli correre al riparo di un muro. Non lo chiameranno muro. Se lo costruiranno, se vogliono. Senza mandare il conto a Bruxelles. Anche Donald Trump voleva far pagare il suo al Messico, poi lo ha messo sul bilancio  del Pentagono. In Texas è rimasto a metà. In Europa c'è chi è pronto a riaprire il cantiere.

Stefano Stafanini, La Stampa (9/10/21)

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