Non tramonta in India l’obbligo del pagamento di una dote per le nozze delle figlie: lo rivela uno studio della Banca Mondiale, pubblicato sul blog dell’istituto, condotto su 40 mila matrimoni in aree rurali del paese, dal 1960 al 2006. I ricercatori, basandosi sui dati del 2006 del Rural Economic and Demographic Survey (REDS), hanno scoperto che in quel periodo, a dispetto della legge che la proibisce dal 1961, la pratica è stata mantenuta nel 95 per cento dei matrimoni. La tradizione della dote, che può consistere in denaro contante, capi di abbigliamento o gioielli, è una delle maledizioni che incombono sul destino delle indiane: le famiglie che vivono sul filo della sussistenza cercano spesso di eliminare le neonate femmine per non doversi poi indebitare anni dopo, al momento del matrimonio. Gli analisti hanno esaminato dati relativi ai 17 Stati in cui vive il 96% della popolazione indiana, scoprendo che il valore medio della dote per le spose è rimasto praticamente immutato nell’intero periodo, a dispetto dell’inflazione vissuta dal Paese in alcuni momenti. Mentre per la famiglia dello sposo la spesa è in media di 5 mila rupie (63 euro) per l’acquisto di doni per la famiglia della ragazza, i genitori di lei affrontano costi sette volte superiori, che arrivano a toccare le 32 mila rupie (400 euro), mentre la spesa media è di 27 mila (337 euro). La dote consuma ampie porzioni del reddito o dei risparmi delle famiglie: nell’India rurale, nel 2007 il costo medio di una dote equivaleva al 14% del reddito annuale delle famiglie. E spesso costringe le famiglie a indebitarsi, attraverso prestiti a tassi altissimi, o a vendere animali o appezzamenti di terreno coltivabile. Le famiglie di religione cristiana e sikh hanno mostrato una crescita maggiore dei costi, rispetto a quelle indù o musulmane.
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