Ancora una volta dall’inizio della pandemia stiamo per cadere nella trappola
della polarizzazione. Come sempre la posta in gioco è molto alta, in questo caso si tratta
del buon esito della campagna vaccinale. Negli ultimi giorni, sui social ma non
solo, è facile imbattersi in posizioni estreme: accanto ai soliti anatemi
no-vax, è comparsa una nuova forma di irragionevolezza, quella di chi si
dichiara così esasperato dalla situazione e così ciecamente fiducioso «nella
scienza» da supplicare che gli venga iniettata qualsiasi cosa, russa cinese
cubana non importa, approvata dagli enti regolatori o meno. Non voglio mettere i due estremismi sullo stesso piano (sebbene si tratti
di posizioni dal simile stampo fideistico). Ma è doveroso chiedersi se il fanatismo
vaccinale sia davvero la strategia più conveniente per tutti in questo momento,
tenendo conto che lo scopo ultimo è chiaro: fare in modo che il maggior numero
possibile di persone sia disposto a vaccinarsi al più presto. Nel tempo sono
stati tentati diversi approcci per vincere le resistenze verso i vaccini: dalla
spiegazione spassionata e razionale all’esaltazione enfatica di quanto nel
secolo scorso abbiano allungato la nostra aspettativa di vita, dalla
persuasione dolce tramite testimonial illustri con la spalla scoperta, fino
alla coercizione senza se e senza ma. [...] Comunque sia, tra i no-vax e gli indignados dell’interruzione di
AstraZeneca si colloca la percentuale molto più cospicua degli
italiani dubbiosi. Tutte le variazioni dei «sì, ma non adesso», «sì, ma non
quello», «magari tra qualche mese», «non mi convince del tutto». Timori che
hanno un loro fondamento, se non di razionalità scientifica, almeno di
ragionevolezza umana. La vaccinazione è un’azione molto più delicata di quanto
venga normalmente proclamato, investe aree ampie dell’intimità e del credere:
si tratta di farsi inoculare qualcosa, di alterare il nostro organismo, con
tutte le suggestioni che ne conseguono. In più, attorno alla vaccinazione specifica
per il Covid, si sono addensate delle diffidenze nuove. La rapidità con cui i
vaccini sono stati resi disponibili (un successo della modernità, che per molti
risulta sospetto), la varietà di vaccini, gli inevitabili aggiustamenti in
corsa sui modi e i tempi di somministrazione, questo stop e gli altri che ci
saranno, la quantità di sorprese spiacevoli che il Covid ci ha riservato in
soli dodici mesi e che ce ne fa presagire altre, la stanchezza: tutto questo
contribuisce a creare in molti delle riserve istintive più che comprensibili. E
che andrebbero innanzitutto rispettate. [...] Tuttavia, oltre quella tappa fondamentale, il Covid esisterà ancora e
sarà lo stesso di prima, con la sua percentuale di casi gravi e di
decessi anche tra i non vulnerabili, con i suoi strascichi lunghi di
spossatezza. Ci saranno ancora focolai. Sarà possibile, per molti mesi e a meno
di non essere personalmente vaccinati, prendersi la malattia. La scelta, in
questi termini, diventa ben posta e tutto sommato semplice, perché non riguarda
più la comunità ma soltanto me: preferisco rischiare il Covid o «rischiare» il
vaccino, qualsiasi cosa queste espressioni suscitino nella mia mente? La
scienza e i dati non lasciano dubbi al riguardo, ma può darsi che i dubbi
restino comunque. La mente umana è fatta così, valuta i pericoli a modo suo. Se
i dubbi restano, vanno fugati, con pazienza e disponibilità all’ascolto.
Vediamo di farlo con tutte le energie, affinché si disaccoppino al più presto
le curve del contagio, ma senza disaccoppiarci noi, prima, dai timori delle
persone. Perché, se accade, avremo perso tutti.
Paolo Giordano, Il
Corriere della Sera (18/3/21)
Canzone del giorno: So Right, So Wrong (1982) - Paul Carrack